Il coworking come strumento di sviluppo del non profit
Come anticipato nel precedente post, ecco la seconda riflessione relativa all’interpretazione di coworking n occasione della mia partecipazione a “Espresso Coworking”, questa volta dedicata al mondo non profit.
Per qualcuno potrebbe essere una risposta scontata ma all’interno di un’organizzazione non profit, si sviluppano azioni di coworking? La risposta dovrebbe essere affermativa, tuttavia accade che all’interno di quello che potrebbe essere definito un perfetto incubatore di idee, di stimoli, di motivazioni, non si riesca a sviluppare un’azione integrata e continuativa di coworking.
Se interpretiamo il coworking come la contaminazione delle esperienze, delle professionalità, delle passioni, potremmo tranquillamente affermare che il contesto offerto da un’organizzazione non profit potrebbe realmente rappresentare la condizione ideale, quasi un modello a cui ispirarsi per poter diffondere lo spirito del coworking, in realtà non è sempre così ma vediamo perché.
Primo motivo per cui in realtà all’interno delle organizzazioni non profit non si riesce a sviluppare costantemente un coworking strutturato è da individuarsi nella difficoltà di estendere la visione rispetto alle attività che solitamente vengono istituzionalmente giù avviate.
Faccio un esempio se l’organizzazione non profit è focalizzata sull’assistenza sanitaria o socio assistenziale, tutto ruota attorno a questo focus, quindi avranno maggior peso nelle discussioni o tra le figure chiave chi dispone di una competenza già verticale rispetto all’attività trattata.
Questo modo di agire tuttavia limita la capacità di innovazione e di motivazione dei volontari sul lungo periodo; diventa inoltre un freno alla condivisione di nuove soluzioni, ma soprattutto alimenta un potenziale rischio di autoreferenzialità.
Sforzarsi quindi a sostenere laboratori di coworking aperti a tutti i membri, o meglio ancora trasformare tutte le organizzazioni non profit in potenziali strutture di coworking finalizzate a generare nuovo valore sociale, potrebbe diventare una nuova risposta alle nuove esigenze sociali emergenti delle quale il tradizionale welfare state non è più in grado di soddisfare.
Ripensare quindi al ruolo allargato del non profit, come bacio di innovazione sociale risulta essere una strada ancora poco battuta direttamente ma spesso inconsapevolmente vissuta dai membri più attivi delle comunità di volontari. Pensate ai volontari che per “professione” sono studenti, per quel profilo di persone, lo sviluppo di attività di coworking appare la normalità, solo che non la chiamano in questo modo; i volontari studenti, vivono l’organizzazione non profit anche come luogo per approfondire, confrontarsi e aiutarsi rispetto a materie di esami, sfruttano quindi un luogo deputato ad altre attività per migliorare la loro “professionalità”. Un altro esempio concreto di cui sono testimone diretto, è rappresentano dalla formazione allargata ed integrata a differenti realtà non profit; mettere insieme differenti organizzazioni unite da più interessi comuni per scambiarsi idee su come migliorare la risposta sociale che sono in grado di generare, forse non rappresenta un esempio di coworking, ma lo diventa nel momento in cui dopo la formazione si creano sinergie e sintonie tale per cui la coprogettazione e il confronto strutturato possa portre concretamente a generare soluzioni sociali concrete ed apprezzate. L’esempio dello sviluppo della organizzazionidi protezione civile della provincia di Alessandria ne sono una testimonianza; il centro di formazione che ho diretto per oltre 15 anni ha basato il suo successo sul mettere a disposizione non solo contenuti formativi, ma spazi e idee su cui costruire qualcosa che prima di allora non esisteva.