volontariato
Convegno: Croce Rossa & Comunicazione
Sabato 8 maggio, giornata mondiale della Croce Rossa, parteciperò al convegno organizzato dal Comitato Regionale del Piemonte della Croce rossa Italiana, dal titolo:”La comunicazione e la Croce Rossa Piemontese tra “propaganda” e pubblicità”
Di seguito il programma del convegno:
ore 10:00 Introduzione dei lavori, presentazione delle attività svolte e dei relatori
Dante Paolo Ferraris – Commissario Regionale CRI PIEMONTE
Moderatore Dottor Antonino Calvano – Commissario Provinciale CRI TORINO
I media e le emergenze: l’immagine del volontario attraverso le pagine dei giornali
Dottoressa Antonella Mariotti – “La Stampa”
Il ruolo della comunicazione interna quale strumento di gestione del cambiamento
Dottor Gianluca Cravera – Newton Management Innovation – Gruppo Sole 24 ore
I nuovi mezzi di comunicazione e l’integrazione con lo sviluppo associativo del Comitato Regionale CRI Piemonte
Dottoressa Sabrina Montagna – Politecnico di Torino – Ingegneria del Cinema e dei mezzi di comunicazione
Televisione e crescita della Croce Rossa in Piemonte
Architetto Piero Manera – Federazione Radiotelevisioni – Gruppo Rete 7
La CRI del Piemonte corre sul web
Ingegnere Pier Luigi Passaro
I giovani e la comunicazione
Pioniere Marco Beltrametti
ore 12:00 Conclusione dei lavori e rinfresco
Aula Dunant
CROCE ROSSA ITALIANA – COMITATO REGIONALE DEL PIEMONTE – Via Bologna 171 TORINO
Donazioni & fiducia alimentano la CSR per le organizzazioni non profit
Ritorno su un argomento a lungo trattato negli ultimi mesi, mi riferisco al tragico evento sismico che ha colpito la gente d’Abruzzo.
Il focus di questo post si concentra sulle donazioni che a fronte del terremoto sono giunte presso le numerose associazioni ed enti impegnati nella ricostruzione post terremoto.
Inutile dire che, ancora una volta, la generosità ha permesso di raccogliere cifre realmente interessanti da destinarsi alla ricostruzione delle zone terremotate. Le casse delle associazioni si sono in alcuni casi letteralmente riempite, con la conseguenza responsabilità di dover rendere conto, ancora con più attenzione, del reale utilizzo delle somme versate.
Da un punto di vista manageriale la vera criticità per le organizzazioni non profit potrebbe essere rappresentato dalla sottovalutazione dell’importanza di essere in grado di gestire correttamente il flusso delle donazioni ed in generale le prossime raccolte fondi.
Le aree di attenzione sono due:
- Essere in grado di sfruttare nel momento dell’emergenza i potenziali contatti che solitamente si utilizzano per la raccolta fondi istituzionale dell’organizzazione non profit
- Essere in grado di monitorare e rendicontare puntualmente e costantemente l’utilizzo di tutti i contributi raccolti.
Per quanto riguarda il primo punto è da notare che sono ancora molte le associazioni o organizzazioni che non dispongono di un “portafoglio” di donatori a cui poter chiedere uno sforzo in caso di emergenze, e che quindi le donazioni raccolte in caso di emergenza sono solo frutto della fedeltà o riconoscibilità del brand e non della capacità di raccolta fondi.
Per quanto riguarda il secondo punto, spesso ci si dimentica di dar conto del proprio operato, sopravvalutando la propria capacità comunicativa, o in altri casi abusando della fiducia del propri donatori.
Le emergenze sono un’occasione per imparare rapidamente a gestire i flussi di donazioni, per essere colta come opportunità bisogna tuttavia avere l’umiltà e la voglia di imparare prima ancora di gestire, di raccogliere fondi considerando questa attività sempre più centrale per lo sviluppo del non profit.
In altri termini, la capacità di raccolta fondi (intendendo capacità di raccolta, di gestione e di impegno dei fondi) non è solo un’area di miglioramento manageriale che non può essere improvvisata ma diventa uno dei momenti centrali delle azioni di CSR delle organizzazioni non profit
Contraddizioni papali
Il management sostenibile entra anche in vaticano, o meglio dovrebbe entrare anche in Vaticano. Domenica 28 dicembre Benedetto XVI si dice preoccupato del “lavoro precario” facendo appello per garantire condizioni di lavoro dignitose per tutti. Una posizione quella assunta dal Papa certamente condivisibile e necessaria visto lo scenario del mondo del lavoro sempre più frammentato e governato da incertezza. Accanto a questo appello, è emersa tuttavia la denuncia di Valeria Pireddu, hostess dell’Opera Romana Pellegrinaggi che afferma che per anni ha lavorato “in nero” e ancora oggi senza un contratto di lavoro. Non è mia intenzione dare in questa sede giudizi sulla situazione che andrebbe per lo meno verificata e approfondita, ciò su cui vale la pena soffermarsi sono gli atteggiamenti incoerenti che ancora una volta coinvolgono le organizzazioni in questo caso il Vaticano nella sua globalità. L’atteggiamento secondo quanto raccontato dalla Pireddu è quello di giocare sulla grande contraddizione che associa il non profit con il lavoro volontario, il che può essere giustificato solo se realmente si tratta di volontariato organizzato e prestato nelle forme previste. Poiché dietro ai pellegrinaggi di sviluppa un business di notevoli proporzioni, il fatto voler volutamente far passare il lavoro delle hostess, come lavoro volontario appare alquanto incoerente e contraddittorio non solo con il proclama del Papa ma con i principi cardine della Chiesa Romana. Se certe leggerezze possono essere commesse, e comunque non giustificabili, da alcuni enti non profit, non le possiamo accettare dal Vaticano. Tali azioni rischiano tra l’altro di compromettere la reputazione del volontariato agendo proprio sull’ambiguità tra il prestare gratuitamente o meno il proprio tempo generando confusioni tra i potenziali volontari o finanziatori del terzo settore.
La competitività del Terzo Settore
La competitività nel terzo settore, può essere identificata con la capacità di incrementare il valore sociale prodotto e percepito dagli utilizzatori dei servizi erogati; tale condizione passa anche attraverso la formazione. Quando si parla di formazione rivolta ai volontari di quale formazione stiamo parlando? Spesso si intende formazione esclusivamente tecnica, legata all’incremento delle capacità operative del volontario nel proprio ambito di azione. Questo tipo di formazione ha il vantaggio di essere immediatamente fruibile da tutti anche alla luce della possibile eterogenità dell’aula; in altre parole quando si spiega ad esempio ad un volontario come caricare un ferito su un asse spinale, si rende necessario fare vedere e sperimentare delle sequenze di manovra, sarà l’esperienza e la frequenza operativa di tali manovre a trasformare il volontario in esperto utilizzatore dell’asse spinale.
La formazione tecnica è dunque essenziale per consentire a qualunque organizzazione di poter sviluppare la propria attività istituzionale, è inoltre la più semplice da progettare ed anche da erogare.
Esistono parecchie realtà di volontariato che intendono e riconoscono solo questo tipo di formazione, reputano fondamentale la formazione ma solo per migliorare le attività che vengono erogata all’esterno dell’associazione stessa.
Le associaizoni che considerano la formazione tecnica come l’unica strada strada utile e crescere rischiano non solo di non riuscire a governare un processo di sviluppo, ma addirittura di perdere nel medio e lungo periodo un crescente numero di volontari.
Pensare che sia sufficiente saper fare bene l’attività per cui si è scelto di diventare volontario per una determinata associazione, risulta il vero limite al superamento del nanismo di molte delle realtà presenti in Italia. Il nanismo non è di per sè negativo, è semplicemente riduttivo rispetto al potenziale che i volontari potrebbero erogare se oltre a concentrarsi sulle attivtà esterne dedicassero maggiore attenzione alla gestione “manageriale” della propria organizzazione.
Accade spesso che venga scelto come coordinatore di un gruppo di volontari, non colui che ha le migliori capacità organizzative, ma colui che sul campo ha dimostrato di conoscere le attività che vengono svolte dai volontari, o ancora peggio, colui che ha molto tempo da dedicare alle attività dell’associazione.
Sia il tempo che le capacità tecniche non sono la risposta alla possibilità di generare nuovo valore sociale, si rende al contrario necessario affrontare seriamente percorsi di crescita manageriale progettata per le esigenze delle differenti tipologie di organizzazioni non profit.
IL MANAGER DEL FUTURO: the new social steward
il non profit in Italia è variegato, composto da associazioni riconosciute e non, cooperative, enti religiosi, fondazioni ed enti pubblici: si contano infatti oltre 21.000 associazioni di volontariato registrate (alle quali si possono aggiungere oltre 35% di associazioni non registrate).
Queste realtà non sono ovviamente composte solamente da volontari, che rappresentano il numero più consistente, ma anche da professionisti in grado di contribuire alla crescita, anche economica, del settore. Basti infatti pensare che il terzo settore ha un giro di affari stimato in circa 38 miliardi di euro, quindi non si tratta più di un soggetto marginale ma di un universo protagonista dello scenario socioeconomico nazionale.