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Il lavoro al bivio e un diverso ruolo delle imprese.

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Siamo giunti in un momento in cui potrebbe essere utile ripensare al significato di lavoro all’interno di un’azienda. Una riflessione per certi versi già avviata da alcuni anni senza avere al momento trovato entusiasmo o innovazione.

La necessità di ripensare al concetto di lavoro è accelerato dalla situazione di contesto che vede la disoccupazione giovanile a livelli mai visti, e allo stesso tempo vede aziende in difficoltà a gestire i nuovi ingressi. Leggi il seguito di questo post »

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Titan, Goodyear e la conseguenza delle azioni insostenibili

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E’ di questi giorni la vicenda che ha visto sotto i riflettori lo stabilimento Goodyear di Amiens in Francia, dove oltre 1100 lavoratori stanno rischiando i proprio posto di lavoro.

La scelta di Goodyear è dettata da una scarsa produttività dello stabilimento, scelta immediatamente contestata dal sindacato Cgt che al contrario afferma nel 2013 i ricavi dello stabilito sono aumentati del 51%. Si tratta di una tipica, quanto triste situazione che anche in Italia abbiamo più volte avuto occasione di assistere. Rispetto ad altre vicende analoghe questa ha una sua particolarità per il fatto che il governo Francese ha cercato di trovare una soluzione individuando nel produttore Titan, gigante americano dei pneumatici agricoli e già produttore di pneumatici Goodyear, un possibile acquirente dello stabilimento. Leggi il seguito di questo post »

Il Salto

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Oggi vi parlo di un libro che ho trovato semplice ed interessante, si tratta dell’ultima fatica di Lynda Gratton: Il Salto.

Il sottotitolo del libro edito da il Saggiatore cita: Reinventarsi un lavoro al tempo della crisi.

La tesi assunta da Gratton parte da un’attenta analisi del contesto sociale, economico ed imprenditoriale, definendo quelli che dal suo punto di vista sono le cinque forse che modificheranno il nostro futuro. A fronte delle cinque forze che lascio a voi scoprire, cambia passo e prova a riflettere sulla condizione di lavoro attuale e contestualizzata rispetto alle 5 forze di cambiamento. Ne esce una riflessione circa le nuove forme che potrebbe assumere il lavoro, dove se da un lato potrebbe cresce la destabilizzazione del lavoro, dall’altro può esserci una maggiore risposta in termini di creatività, adattabilità e soddisfazione per chi oggi, domani approccerà il mondo del lavoro. Leggi il seguito di questo post »

Ridefinire la marginalità per incrementare gli stipendi

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La media delle retribuzioni in Italia è indiscutibilmente inferiore a quella europea, i motivi che hanno portato a questa differenziazione sono molteplici, ed in alcuni casi anche giustificati da una minore produttività rispetto ad altri.

Non entrando nel merito delle cause che hanno portato a questa difficile situazione, è necessario ripensare ad un sistema in grado di riportare gli  stipendi ad un livello maggiore consentendo anche ai profili professionali più deboli di condurre una vita più sostenibile.

La crisi internazionale di questi anni ha sicuramente procurato una scrematura tra le imprese solide e proiettate in un contesto competitivo globale, e le imprese che fino a qualche anno fa sopravvivevano solamente per una posizione acquisita.

Mi riferisco quindi a tutte le imprese più forti (o più stabili), sia di grande che di medie dimensioni, invitando ad una serie riflessione sul concetto generale di marginalità o di ricavo.

In questo contesto competitivo difficile, occorre coniugare un maggior coraggio in politiche di reale responsabilità d’impresa a partire dallo stakeholder più importante: il lavoratore.

Se l’ottica d’impresa di questi ultimi 5 anni ha spostato l’attenzione su costi per riuscire ad incrementare la marginalità, è forse opportuno ripensare a questo concetto di marginalità. Leggi il seguito di questo post »

Ho studiato economia e me ne pento…

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Il libro di Florence Noiville “ Ho studiato economia e me pento”, sintetizza in meno di 90 pagine un preciso scenario del mondo aziendale e manageriale, partendo da una propria esperienza personale.

Noiville ha frequentato 25 anni fa l’HEC, Ecole des haute etudies commerciales, ovvero la più importante Business School francese, da cui sono usciti ed escono potenziali manager di successo. L’autrice si interroga sul modello su cui si sviluppano le Business School, interrogandosi sul ruolo e sulla responsabile di queste istituzioni, che dovrebbero aver il  ruolo di formare i nuovi manager in un’ottica di complessità piuttosto  che in’ottica di certezze e di sequenze causa effetti.

L’elemento che più interessa da un punto di vista manageriale è rappresentato dalla chiarezza con cui l’autrice “smonta” le certezze che vengono costruite durante il percorso di studi. Leggi il seguito di questo post »

L’uomo artigiano

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Sono passati quasi due anni da quest’interessante intervista di Rosanna Santonocito a Richard Sennett sociologo americano professore alla New York University e anche alla London School of Economics nonchè consigliere di Barack Obama, pubblicata su “Il sole 24 ore” il 14 gennaio 2008. Sorprende più di tutti l’attualità dei temi trattati, considerando che l’intervista è antecedente alla grande crisi del 2009. Sarà perché sono figlio di un artigiano, ma condivido il contenuto dell’intervista. Buona lettura!

Professor Sennett, l’ uomo artigiano del suo libro è colui che svolge bene il proprio mestiere, “a regola d’arte”, che ci mette un forte impegno personale ed è appagato da quello che fa. Oggi molti ruoli professionali richiedono abilità, skills, e un atteggiamento “artigianale”, imprenditivo . Ma la grande differenza tra i lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti non è più tanto evidente sul piano delle tutele e della sicurezze, che ormai sono sempre meno anche per i secondi. Lo spartiacque vero tra l’una e l’altra condizione è l’essere padrone del proprio lavoro, amarlo e trarne soddisfazione, ogni giorno. Cosa sempre più difficile nelle organizzazioni, però, soprattutto in tempi di recessione ..

L’errore che il sistema economico sta pagando è l’essersi basato su una visione a breve termine e sul modello della flessibilità organizzativa, dell’instabilità e della velocità per adeguarsi ai cambiamenti. E’ stato così anche nella gestione del capitale umano. Non si è investito sulla conoscenza e i lavoratori, in questi anni, hanno potuto acquisire solo una esperienza incompleta, lavorando in imprese frammentate e instabili. Nel mio libro “L’Uomo artigiano” evidenzio la differenza che c’è tra chi sa fare una cosa, si accontenta di saperla fare e basta, e colui che invece è dotato dell’abilità artigianale che lo spinge a un continuo miglioramento. Oggi, nelle grandi organizzazioni questa visione non trova spazio. Le aziende non la incoraggiano. Al contrario, se serve una competenza che manca all’interno, anzicchè far crescere le persone in organico la si va a cercare fuori, reclutando qualcuno che possibilmente costi anche meno. Magari in Cina. Essere artigiano, qualunque lavoro si faccia, vuol dire pensare a quanto puoi crescere migliorando le tue abilità, ed avere tutto il tempo che serve per riuscirci. Questo non dipende solo dalla motivazione, che è importante ma non sufficiente, ma dal contesto organizzativo, che deve essere favorevole e valorizzare le persone, investendo su di loro a lungo termine. Invece nelle aziende il focus è brevissimo. Il modello artigiano del passato ci insegna una cosa importante: il senso del tempo. Per diventare maestri ai tempi antichi ci volevano anni.

 

Ma possiamo permettercelo? Le tecnologie hanno polverizzato il tempo e la velocità del mercato impone i ritmi anche all’innovazione?
Non è vero: guardiamo al caso di Apple. Ai suoi inizi, era considerata una organizzazione lenta in confronto a Microsoft, e in più occupava in maggioranza manodopera stabile. A lungo termine, si è dimostrata quella in grado di sopravvivere meglio tra le due. Un’altro elemento importante per imparare è la collaborazione : la formazione non è un’attività isolata, richiede condivisione delle conoscenze, scambio di critiche reciproche, controllo continuo dei progressi. Nei valori aziendali correnti, invece, la cooperazione viene vista come un retaggio del passato. Sì, è vero, tempo e cooperazione sono valori tradizionali ma alla lunga producono risultati, soprattutto se l’obiettivo che ci diamo è la produzione di beni e servizi di qualità, che non si costruiscono con la fretta, ma basandosi sulla crescita delle competenze.

 

Allora la bottega di oggi qual è?

E’ la piccola impresa, che per questo va sostenuta come modello e va messa nelle condizioni di investire sulle persone. Oggi serve più la crescita che la flessibilità.

 

La felicità nel lavoro è un traguardo fuori portata per i singoli nella situazione economica attuale ?

La felicità non lo so. Preferisco parlare di motivazione, che credo nasca dal rispetto e, negli individui, dalla consapevolezza del valore del proprio lavoro. Le persone che sono orientate a sviluppare le proprie capacità anche quando perdono il posto sono più sicure, forti della propria autostima e questo è un vantaggio in un momento di minori protezioni e di scarsa mobilità sociale. Spesso questi lavoratori si rendono conto delle proprie abilità proprio nel momento in cui si trovano disoccupati e non possono più esercitarle e vivono questa mancanza come una ferita.

Quanto conta l’età dell'”uomo artigiano”?

E’ irrilevante. In mestieri come quelli della tecnologia si può essere maestri già a vent’anni, e in ambienti come la ricerca o la medicina invece conta molto avere una coscienza del valore etico e sociale del proprio lavoro che non si accumula come la conoscenza.

L’artigiano è uomo o donna?

Anche questo è irrilevante

E’ più importante il talento o la tecnica?

La tecnica. L’idea che pochi eletti siano dotati di eccellenza e che vadano ricercati e coltivati esclude la maggior parte delle persone che lavorano e questo è un terribile spreco di risorse umane. I geni non mi hanno mai interessato.

La creatività o la tecnica?

Ancora la tecnica

Barack Obama dà molta importanza al capitale umano, alla conoscenza. Lei come vede gli anni a venire per il lavoro negli Stati Uniti?

La mia speranza è in un futuro migliore, ma il mio non è un giudizio obiettivo, perchè sono un consigliere del futuro presidente. Credo ci vorranno anni per riparare al danno profondo subito dall’economia Usa. In Europa pensate che Obama abbia una specie di bacchetta magica, io almeno di una cosa sono certo: l’era dell’ incompetenza è finita e ce ne accorgeremo subito. Cosa mi piace di lui? Che è realista, diversamente da Bush.

 

Rifkin profetizzava la fine del lavoro che avrebbe migliorato la nostra qualità della vita. Lei ha previsto un aumento dell’incertezza e le conseguenze negative dell’instabilità lavorativa anche a livello sociale. Aveva ragione lei…

Non sono contento di vedere che il sistema di cui evidenziavo l’inadeguatezza è collassato, sono più interessato al modo di riscostruirlo su basi più solide a partire dalle capacità, dalla sostenibilità e da una formazione che fornisca competenze a un numero vasto di individui, valorizzando anche le persone comuni.

Intervista di Rosanna Santonocito Il Sole 24 ore – 14 gennaio 2008

Volkswagen vuole superare Toyota partendo dai lavoratori!

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“I lavoratori con un posto garantito sono motivati ad impegnarsi nell’incremento della produttività” è questa l’affermazione di Hartmut Meine sindacalista di IG Metall capo del distretto di Wolfsburg dopo lo storico accordo siglato con Volkswagen e raggiunto con il benestare del cancelliere Merkel.

Vediamo di cosa si tratta. Anche per la casa automobilistica tedesca il 2010 sarà un anno difficile, ricco di incertezza, in cui il management si troverà spesso a dover navigare a vista. Il rischio di perdere competitività si tradurrebbe nel rischio di perdere ulteriori posti di lavoro, tuttavia una responsabilità congiunta di Volkswagen e del sindacato IG Metall ha permesso di siglare un accorso in cui a fronte di un aumento reale della produttività del 10%, circa 90.000 lavoratori avranno un posto di lavoro garantito, tale accordo durerà fino la 2014.

Ho parlato non a caso di responsabilità congiunta delle parti sociali (tra cui anche il senso di responsabilità individuale dei lavoratori); in una situazione di crisi come quella attuale, si rende sempre più necessario agire in maniera “coerente” in tutti gli ambiti di azione, nel mercato, nella comunicazione, nella cultura aziendale, nel rispetto delle regole, nel rapporto con i propri dipendenti, non esiste un’altra via di uscita.

L’obiettivo dichiarato da Volkswagen è ambizioso, superare entro il 2018 Toyota diventando il primo gruppo automobilistico mondiale. è evidente che per raggiungere questo risultato non si può che coinvolgere tutti coloro che potranno garantire un contributo primario a partire dai lavoratori.

Il nuovo accordo, sponsorizzato dal governo tedesco, può essere interpretato come un buon esempio di condivisione della visione strategica futura, spostando il punto di osservazione della crisi dal brevissimo periodo al medio e lungo termine.  

Sempre più spesso siamo condizionati da ciò che accade intorno a noi, perché infatti essere stupidi di una notizia che da un punto di vista razionale-logico è anche abbastanza banale? Forse per il fatto che non siamo più abituati a risolvere problemi assumendo punti di vista allargati super partes rispetto ai bisogni individuali dei soggetti coinvolti.

Il terremoto in azienda!

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Un terremoto di forte intensità può avere effetti devastanti in funzione del territorio in cui si verifica, a parità di magnitudo, ha effetti diversi se si verifica all’Aquila, ad Haiti o Tokio, le ragioni della devastazione sono ovviamente differenti, ciò che importa non è solo come si reagisce all’evento (organizzazione dei soccorsi) ma ciò che è stato fatto per prevenire gli effetti distruttivi.

Se paragoniamo il terremoto (uno dei pochi eventi calamitosi che ancora oggi non si possono prevedere) con la crisi che molte realtà si trovano ad affrontare appare evidente il possibile confronto tra realtà che nonostante difficoltà e disagi sono riuscite e stanno riuscendo ad affrontare questo momento di difficoltà, e realtà che non hanno retto il colpo e si sono ritrovate costrette a chiudere o quasi.

Anche i questi casi i motivi di tale situazioni sono molteplici, ciò che appare straordinariamente preoccupante è l’approccio al disastro/crisi che molte organizzazioni adottano,ovvero concentrano i propri sforzi solamente nella parte di soccorso/emergenza, perdendo di vista la strategicità delle azioni di prevenzione.

Se consideriamo in profondità il significato che dovrebbe avere la CSR, è possibile individuare nello sviluppo responsabile una possibile soluzione agli eventi catastrofici che potrebbero colpire un’impresa, o meglio un’impresa csr-oriented è obbligata ad assumere punti di vista differenti rispetto ad analoghi problemi-soluzioni; è quindi costretta ad evitare azioni causa-effetto che portano beneficio solamente nel breve periodo.

E’ utile partecipare agli utili?

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Riporto di seguito un condivisibile punto di vista espresso da Franco Debenedetti su Il Sole 24 ore sul tema della partecipazione agli utili da parte dei lavoratori. Non solo di tratta di una di una semplificazione di una situazione complessa, quindi per definizione inutile rispetto al problema, ma di un approccio riduttivo verso la costruzione di una management sostenibile. Esiste una significativa differenza tra la partecipazione agli utili e la partecipazione all’azionariato, nel primo caso, quasi paradossalmente si autorizza e si incoraggia il top management  (per definizione più flessibile, meno ancorato, meno fedele alle sorti dell’azienda) ad innescare azioni manageriali di breve periodo finalizzate esclusivamente alla produzione di valore economico senza preservare la capacità competitiva dell’azienda. Nel caso dell’azionariato diffuso, si incrementa al contrario il senso di appartenenza si incentivano azioni prospettiche di medio e lungo periodo finalizzate alla creazione di valore economico ma anche sociale dell’ottica di uno sviluppo sostenibile.  

 

Partecipare agli utili? Inutile

di Debenedetti Franco (www.francodebenedetti.it –  www.ilsole24ore.it)

Sono bastati i primi segnali di uscita dalla crisi, e subito è ritornato a manifestarsi il male che affligge l’economia italiana, vent’anni di crescita inferiore a quella degli altri paesi industriali, dieci anni di produttività praticamente ferma. La bassa produttività, a sua volta causa di bassi salari, e quindi di un mercato interno debole, rimanda ai ben noti nodi strutturali, dalla formazione alla dotazione di infrastrutture.
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Non è compito mio!!!

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Il post di oggi mi viene suggerito dal fondo di  Massimo Gramellini apparso su La Stampa. Nelle poche ma sempre pungenti e attente frasi di Gramellini, emergono tutti gli elementi per affermare ancora una volta la necessità di sviluppare un management sostenibile guidato da coraggio ma soprattutto da responsabilità, o meglio voglia di assumersi responsabilità. Non mi riferisco ovviamente al sistema bancario (caso citato nell’artciolo) in particolare, ma più in generale occorre ripensare e reinterpretare il ruolo che ognuno di noi assume all’interno delle organizzazioni, soprattutto aziendali.

Ecco qui l’articolo di Massimo Gramellini:

“L’altro ieri, a Settimo Torinese, il signor Giovanni ha gambizzato la signora Silvana, che gli aveva negato un prestito. Ieri diversi lettori hanno telefonato a La Stampa per dire: ha fatto bene. E a me è venuto un brivido. Ho scritto Giovanni e Silvana, invece che un «panettiere indebitato» e «una direttrice di filiale» perché ho l’impressione che si uscirà da questa crisi solo se smetteremo di trattare gli altri come dei simboli e ricominceremo a considerarli delle persone. Il piccolo imprenditore strozzato dalla mancanza di ordini non vede nel bancario la rotellina impotente di un meccanismo anonimo, ma il capro espiatorio perfetto. E il bancario, stritolato dalla gabbia dei regolamenti interni, non dialoga più con Francesco o Maria, con le loro storie e le loro capacità,ma con i clienti X e Y a rischio d’insolvenza. Ho saputo di un artigiano che si è visto rifiutare il pagamento di una bolletta di 8 euro perché il computer negava alla banca il permesso di pagare. È questa rigidità arida che ci sta finendo. La solidarietà è diventata un dentifricio per sbiancarsi la coscienza, invece significa mettersi nei panni degli altri e smetterla di considerarli pedine intercambiabili, singole voci di una lista memorizzata in qualche archivio. Non siamo tutti uguali, al di qua dello sportello come al di là. Ci sono lo scansafatiche e il manigoldo: non meritano aiuto. E ci sono l’artigiano volenteroso e l’imprenditore che si indebita per non licenziare: questi vanno foraggiati strizzando anche un occhio, alla faccia dei regolamenti e delle griglie dei computer. Perché alla fine, porca miseria, siamo ancora esseri umani.” (fonte La Stampa 16 luglio 2009)