coraggio

La lezione di Obama

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Ancora una volta il Presidente Barack Obama ha dato una lezione non solo sul piano civile o politico ma anche su quello manageriale. Mi riferisco alla scelta di autorizzare la costruzione della Moschea nei pressi di Ground Zero, la sua motivazione è stata molto semplice (si fa per dire) :”Siamo l’America” ovvero non dimentichiamoci chi siamo, quando abbiamo lottato per essere quello che diciamo voler essere. Questo tipo di ragionamento implica una grande coerenza, oltre che grande coraggio, sopratutto per il fatto che oltre il 55% degli elettori liberal di New York sono contrari alla Moschea. Ma cosa c’entra Obama con il management sostenibile? Molto, mi vien da pensare, non tanto per la decisione della Moschea di cui non entro nel merito, quanto per le scelte e per la coerenza delle stesse.

Coerenza, coraggio, scelte apparentemente impopolari, ma sane nei principi, dovrebbero contraddistinguere ogni organizzazione che vuole continuare ad essere competitiva. Quante volte il management aziendale, rifiuta di prendere posizioni definite, pur avendo valori aziendali dichiarati e stampati su tutti i muri dell’azienda in grado di sostenere la scelta impopolare, quante volte il management aziendale compie scelte incoerenti rispetto alla cultura aziendale, quante volte il management aziendale non ha il coraggio di assumersi fino in fondo la propria responsabilità per il bene dell’azienda stessa?

Ci sono realtà nelle quali la chiarezza, il coraggio ma anche il senso di responsabilità rispetto ai principali stakeholder, sono molto evidenti, forse fin tropo, mi riferisco al caso HP e al caso Apple, il primo ha visto il licenziamento del CEO per condotta “antiaziendale”, il secondo ha visto il licenziamento di un manager probabilmente incapace (il progettista dell’antenna del nuovo iPhone4), entrambe le azioni unite da un unico fine quello di tutelare la reputazione dell’azienda, e garantire una crescita fiduciaria dei principali stakeholder, in primo luogo dipendenti e clienti.

Azioni di management sostenibili sono quelle che consentono a tutti gli stekeholder di aver chiara la condotta che l’organizzazione con cui si ha a che fare sta cercando di mantenere , in modo da poterla difendere o affossare a seconda della mancanza di coerenza.

Sono quindi anche questi gli elementi che dovrebbero emerge nei report di sostenibilità

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Non è compito mio!!!

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gramellini foto

Il post di oggi mi viene suggerito dal fondo di  Massimo Gramellini apparso su La Stampa. Nelle poche ma sempre pungenti e attente frasi di Gramellini, emergono tutti gli elementi per affermare ancora una volta la necessità di sviluppare un management sostenibile guidato da coraggio ma soprattutto da responsabilità, o meglio voglia di assumersi responsabilità. Non mi riferisco ovviamente al sistema bancario (caso citato nell’artciolo) in particolare, ma più in generale occorre ripensare e reinterpretare il ruolo che ognuno di noi assume all’interno delle organizzazioni, soprattutto aziendali.

Ecco qui l’articolo di Massimo Gramellini:

“L’altro ieri, a Settimo Torinese, il signor Giovanni ha gambizzato la signora Silvana, che gli aveva negato un prestito. Ieri diversi lettori hanno telefonato a La Stampa per dire: ha fatto bene. E a me è venuto un brivido. Ho scritto Giovanni e Silvana, invece che un «panettiere indebitato» e «una direttrice di filiale» perché ho l’impressione che si uscirà da questa crisi solo se smetteremo di trattare gli altri come dei simboli e ricominceremo a considerarli delle persone. Il piccolo imprenditore strozzato dalla mancanza di ordini non vede nel bancario la rotellina impotente di un meccanismo anonimo, ma il capro espiatorio perfetto. E il bancario, stritolato dalla gabbia dei regolamenti interni, non dialoga più con Francesco o Maria, con le loro storie e le loro capacità,ma con i clienti X e Y a rischio d’insolvenza. Ho saputo di un artigiano che si è visto rifiutare il pagamento di una bolletta di 8 euro perché il computer negava alla banca il permesso di pagare. È questa rigidità arida che ci sta finendo. La solidarietà è diventata un dentifricio per sbiancarsi la coscienza, invece significa mettersi nei panni degli altri e smetterla di considerarli pedine intercambiabili, singole voci di una lista memorizzata in qualche archivio. Non siamo tutti uguali, al di qua dello sportello come al di là. Ci sono lo scansafatiche e il manigoldo: non meritano aiuto. E ci sono l’artigiano volenteroso e l’imprenditore che si indebita per non licenziare: questi vanno foraggiati strizzando anche un occhio, alla faccia dei regolamenti e delle griglie dei computer. Perché alla fine, porca miseria, siamo ancora esseri umani.” (fonte La Stampa 16 luglio 2009)