lavoro
Il lavoro al bivio e un diverso ruolo delle imprese.
Siamo giunti in un momento in cui potrebbe essere utile ripensare al significato di lavoro all’interno di un’azienda. Una riflessione per certi versi già avviata da alcuni anni senza avere al momento trovato entusiasmo o innovazione.
La necessità di ripensare al concetto di lavoro è accelerato dalla situazione di contesto che vede la disoccupazione giovanile a livelli mai visti, e allo stesso tempo vede aziende in difficoltà a gestire i nuovi ingressi. Leggi il seguito di questo post »
Serve ancora timbrare il cartellino?
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Francamente penso di no! Il problema del timbrare o meno il cartello non rientra solo in una logica di controllo/fiducia che condiziona la cultura aziendale, va ben oltre. Timbrare o strisciare il badge identifica principalmente il lavoro come l’occupazione del tempo di una risorsa, spesso, non sempre, poca importa cosa fai e come lo fai. Questo concetto di lavoro ha condizionato sia le organizzazioni che il pensiero del lavoratore, ed a volte si è verificato un condizionamento involontario reciproco. Leggi il seguito di questo post »
La deresponsabilizzazione dell’art.18
In questi giorni di nuova discussione sull’art.18 dello statuto dei lavori, emergono differenti punti di vista.
L’attualità dell’argomento con estensione o validità solo per i neo assunti, fa nascere differenti reazioni, in primis quelle di chi non crede che l’abolizione dello stesso possa incrementare l’occupazione.
Sul tema ho cercato di esplorare differenti punti di vista e vorrei condividere con voi il mio.
L’assunto di base di chi non crede nell’incremento dell’occupazione si basa sul fatto che oggettivamente non ci sia lavoro e quindi questa azione non porti che ad uno svantaggio per tutti indebolendo i diritti dei lavoratori. Io penso che questo assunto sia solo in parte vero. E’ evidente che rispetto ad altri momenti storici l’offerta di lavoro sia limitata, tuttavia è limitata altrettanto la domanda di lavoro qualificata e quindi in grado di essere utile alle aziende che ancora oggi per scelta o per necessità stanno cercando nuovi lavoratori. Leggi il seguito di questo post »
McLavoro?
Si è recentemente conclusa una campagna pubblicitaria che ha suscitato discussioni anche in ambienti che solitamente non si occupano di lavoro e di management in generale; mi riferisco allo spot di McDonald’s.
La riflessione che vorrei condividere con voi riguarda l’impatto che questa particolare forma di pubblicità può generare all’esterno, ma soprattutto all’interno.
Un analogo ragionamento lo avevamo già fatto rispetto ad altri due casi del passato; Fiat, quando usci lo spot della nuova Panda, ed Esselunga in occasione del cortometraggio “Il mago di Esselunga”.
Uno spot come quello di McDonald’s ha quindi un duplice effetto, creare un senso di appartenenza forte rispetto chi già lavora in un ristorante della catena, ma anche comunicare ed attrarre potenziali candidati, posizionandosi in maniera diversa ad altre aziende. Leggi il seguito di questo post »
Il Salto
Oggi vi parlo di un libro che ho trovato semplice ed interessante, si tratta dell’ultima fatica di Lynda Gratton: Il Salto.
Il sottotitolo del libro edito da il Saggiatore cita: Reinventarsi un lavoro al tempo della crisi.
La tesi assunta da Gratton parte da un’attenta analisi del contesto sociale, economico ed imprenditoriale, definendo quelli che dal suo punto di vista sono le cinque forse che modificheranno il nostro futuro. A fronte delle cinque forze che lascio a voi scoprire, cambia passo e prova a riflettere sulla condizione di lavoro attuale e contestualizzata rispetto alle 5 forze di cambiamento. Ne esce una riflessione circa le nuove forme che potrebbe assumere il lavoro, dove se da un lato potrebbe cresce la destabilizzazione del lavoro, dall’altro può esserci una maggiore risposta in termini di creatività, adattabilità e soddisfazione per chi oggi, domani approccerà il mondo del lavoro. Leggi il seguito di questo post »
Cambio lavoro?
Inizia un nuovo anno, ed in molti hanno come obiettivo quello di cambiare lavoro. In questi giorni di pausa natalizia mi è capitato di incontrare parecchie persone che si sono lamentate non solo per la situazione di contesto sempre più critica per certi versi, ma per la qualità del lavoro che stanno vivendo.
I principali motivi di insoddisfazione, non sono come qualcuno potrebbe credere correlati al livello retributivo, ma a ben più complesse situazione, prima tra tutte, soprattutto tra i giovani, la mancanza corrispondenza tra il lavoro desiderato (spesso coincidente con gli studi effettuati) ed il lavoro concretamente svolto. A seguire tra le cause, la mancanza di soddisfazione rispetto a ciò che si svolge e per ultimo la difficoltà di intravedere sbocchi professionali adeguati. Leggi il seguito di questo post »
Si può ancora scegliere quale lavoro fare?
La risposta a questa domanda sembrerebbe scontata, anche considerando l’alto tasso di disoccupazione presente in Italia, tuttavia una recente ricerca dell’agenzia per il lavoro Page Personal, dimostra che un candidato su dieci rifiuta il posto di lavoro.
Si tratta in prevalenza di neo diplomati o di neo laureati, che pur essendo selezionati e quindi avendo la possibilità di entrare nel mondo del lavoro, rifiutano l’incarico.
Le principali causa sono la lontananza dal posto di lavoro, la mancanza di prospettive di sviluppo certe, la dimensione dell’azienda, il mercato o il settore di riferimento ritenuto poco attraente e stimolante.
Come considerare questo dato? Si tratta di un chiaro spaccato della nostra realtà contemporanea, da un lato indica una visione chiara di alcuni giovani rispetto al loro futuro, dall’altro l’incapacità di molte realtà aziendali di adeguarsi ai tempi, offrendo elementi di attrattività convincenti
Tra le scelte di un posto di lavoro probabilmente non rientra più solo la sicurezza del lavoro, elemento che per molti anni ha dettato le scelte nel mercato del lavoro, ma rientra un ragionamento sicuramente più complesso e articolato.
La persona giovane e di talento, ammesso di non avere troppi vincoli economici (quindi una famiglia alle spalle in grado di sostenere le scelte del figlio), sempre più spesso prende in considerazione aspetti legati alle proprie prospettive professionali ed economiche, ma contemporaneamente aspetti legati ad una condizione di vita sostenibile. Le imprese che oltre alla carriera sanno offrire questo tipo di opportunità, incrementano notevolmente le possibilità di attirare talenti, ma anche persone con una maggiore seniority.
L’elemento centrale di questa riflessione, non deve limitarsi ad esprimere un giudizio sul giovane che si affaccia al mondo del lavoro, ma al cambiamento di approccio che le aziende devono iniziare ad implementare, non solo per una questione di benessere delle persone che vi lavorano o vi lavoreranno ma per una questione di competitività. L’inflazionato e a volte abusato termine work-life balance sembra diventare una realtà, o meglio uno degli indicatori che potrebbe essere preso in considerazione dalle nuove generazione da un lato e dagli attuali lavoratori di media età dall’altro.
E’ indiscutibile il fatto che nei prossimi 15 anni le aziende si troveranno a dover gestire contemporaneamente persone mediamente più anziane e contemporaneamente nuove “leve” con esigenze dinamiche e non standardizzabili, il cui elemento comune probabilmente sarà rappresentato dal poter svolgere un lavoro sostenibile nel senso più ampio del termine.
Bimbi in ufficio con mamma e papà: perchè?
E’ giunta alla 17° edizione l’iniziativa del Corriere della Sera, “Bimbi in ufficio con mamma e papa” patrocinata per il secondo anno dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, iniziativa nata con l’intento di avvicinare e far conoscere ai bambini dove e come trascorrono molto del proprio tempo i genitori.
Se diciassette anni fa l’iniziativa poteva considerarsi in sé rivoluzionaria o comunque innovativa, possiamo tranquillamente affermare che oggi rappresenta solamente uno sforzo nel camuffare un vero disagio vissuto in molte delle realtà aziendali che aderiscono, ovvero è sempre più vero che il tempo che i genitori, soprattutto le mamme, possono dedicare ai propri figli è sempre inferiore rispetto alle aspettative.
In questi diciassette anni è cambiato lo scenario di riferimento, ho già parlato degli effetti della turbolenza competitiva che interessa molti settori merceologi / commerciali, tale turbolenza ha sempre più spesso un effetto devastante tra l’equilibrio che si dovrebbe trovare tra il lavoro e la casa/famiglia.
L’iniziativa, leggo in un redazionale del Corriere, continua a riscuotere un gran successo, bisognerebbe capire per quali persone rappresenta un successo: per i direttori HR? per i responsabili della CSR?
Conosco personalmente molte persone che lavorano a diversi livelli in molte aziende che hanno aderito ed il loro ritmo di vita può essere così sintetizzato: uscita di casa alle ore 07.00, rientro ore 20.00 cena veloce, saluto “fotografico” ai figli, e poi di nuovo al lavoro per un ultima importantissima mail da inviare a qualcuno che probabilmente non leggera mai.
Si tratta di un caso estremo? può essere, ma chi frequenta soprattutto grandi realtà, si renderà conto che quanto ho scritto non è affatto straordinario, spesso è vissuto passivamente pensando che questa sia la normalità.
Se vogliamo parlare di un nuovo rapporto tra lavoro e famiglia, affidando l’importanza adeguata al tempo che un genitore dovrebbe trascorrere con i propri figli allora bisognerebbe ripensare ai meccanismi interni alle organizzazioni che generano la cultura aziendale, troppo spesso sbilanciata solo verso il business e troppo poco verso le persone, una cultura che premia solamente la visione di breve periodo, ma non certo una visione sostenibile.
Ben vengano queste iniziative, tuttavia devono avere il coraggio di portare alla luce una criticità, non essere un manifesto di cui vantarsi soprattutto con chi vede le aziende dall’esterno.