McLavoro?
Si è recentemente conclusa una campagna pubblicitaria che ha suscitato discussioni anche in ambienti che solitamente non si occupano di lavoro e di management in generale; mi riferisco allo spot di McDonald’s.
La riflessione che vorrei condividere con voi riguarda l’impatto che questa particolare forma di pubblicità può generare all’esterno, ma soprattutto all’interno.
Un analogo ragionamento lo avevamo già fatto rispetto ad altri due casi del passato; Fiat, quando usci lo spot della nuova Panda, ed Esselunga in occasione del cortometraggio “Il mago di Esselunga”.
Uno spot come quello di McDonald’s ha quindi un duplice effetto, creare un senso di appartenenza forte rispetto chi già lavora in un ristorante della catena, ma anche comunicare ed attrarre potenziali candidati, posizionandosi in maniera diversa ad altre aziende.
I numeri che vengono espressi dalla campagna sono comunque importati ed invitano a riflettere. Io penso che un dipendente di un’azienda che agisce in questi termini non possa che trovarne un latente beneficio soprattutto per il fatto di parlare di persone e non di prodotti.
La centralità della persona nello spot è evidente, e immagino voglia rispecchiare un modo di gestire le stesse all’interno dell’organizzazione; un fattore in ogni caso non sempre diffuso e spesso strumentalizzato.
La polemica innescata e la reazione dei sindacati, potrebbe anche essere condivisibile, tuttavia rimane debole nei contenuti e negli effetti.
Appare infatti evidente che la qualità del lavoro sia uno degii elementi che vendono messi sotto i riflettori da Filcams CGIL, tuttavia è anche vero che per discriminare sulla qualità del lavoro bisognerebbe entrare maggiormente nel merito delle dinamiche di sviluppo del business (in questo caso di McDonald’s, in altri in riferimento al tipo di settore preso in considerazione), facendo attenzione ad accusare un’azienda piuttosto che un sistema lavorativo o un mercato del lavoro. La qualità del lavoro non dipende infatti solo dall’azienda presso la quale si presta la propria collaborazione, ma dal settore, dai vincoli contrattuali, dalle norme vigenti e soprattutto dal contesto in cui è inserito.
Ritornando allo spot, e pensando al target di riferimento, immagino che l’obiettivo di creare una speranza sia stato raggiunto.
E’ evidente che la volontà di McDonald’s penso possa essere quella di attirare a sé i migliori talenti presenti sul mercato per garantire loro un’esperienza comunque importante ma al contempo generare un livello di servizio medio alto. Sono altrettanto convinto che la persona di talento possa scegliere l’esperienza di McDonald’s spesso come esperienza di passaggio, e che allo stesso modo il management di McDonald’s ne sia consapevole. Esiste tuttavia un altro modo di leggere lo spot, basta prendere in considerazione il punto di vista di chi vive il lavoro presso McDonald’s, come una frustrazione ed un senso di insoddisfazione condizionato da turni difficili e da stipendi non sempre all’altezza.
Per queste persone il problema non è MdDonald’s o altro, ma è il loro modo di approcciare al lavoro. Per queste persone non sono i turni difficili il vero problema, neppure lo stipendio, quando la consapevolezza di non poter cambiare in nessun modo la loro possibilità di “carriera” a causa di differenti motivi. Per loro lo spot risulta una frustrazione, non solo perché non si riconoscono, ma perché vedono in quell’azione di comunicazione una distonia rispetto alla realtà. Anche rispetto a questi profili, il management di un’azienda non può non pensare ad azioni. E’ tuttavia anche vero che le azioni si possono prendere solamente se la maggior parte delle persone vivono un reale stato di disagio con una chiara ripercussione sul business e sui livelli di servizio, pare che attualmente (in McDonald’s) la situazione sia fortunatamente per tutti un’altra.