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Più attenzione allo stile delle dimissioni!

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dimissioni

Esiste uno stile anche per dimettersi? Assolutamente si. Senza dubbio avrete assistito a differenti forme di dimissioni e non sempre alla tradizionale prassi che prevede che dopo un colloquio franco e sereno il collaboratore possa continuare ad operare con impegno fino al periodo contrattualmente previsto, vivendo le dimissioni come una naturale azione anticamera di un cambiamento.

Nella realtà dei fatti molto spesso le cose vanno diversamente. Leggi il seguito di questo post »

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Il manager deve essere prudente?

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Stefano Zamagni, Prudenza (Il Mulino)

Prudenza: cosa vi viene in mente? Qualunque sia la vostra interpretazione del termine prudenza, vale la pensa rileggere questo ottimo saggio di Stefano Zamagni della collana “Parole controtempo” del Il Mulino.

Lo propongo anche a voi, perché questa lettura consente di superare (almeno ha consentito a me di superarli) i possibili pregiudizi rispetto al termine.

Zamagni accompagna il lettore nel concepire la prudenza come virtù che consente di assumere una prospettiva non solo di breve periodo ma anche di medio e di lungo periodo. Capite bene quindi che già solo questo motivo, rende la lettura piacevole e coerente con il pensiero di managerialità sostenibile. La prudenza non ha e non ha avuto solo e sempre un’accezione di avversità al rischio, ma anche di profondità, di rispetto per gli altri, di assunzione di punti di vista altrui. Provate per credere e fateci sapere. Leggi il seguito di questo post »

Anno nuovo, blog nuovo!

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impossibile

Serve ancora un blog? C’è ancora qualcuno che legge blog? In entrambi i casi la mia risposta è SI!. Il blog “management sostenibile” esiste dal 2008, si, il prossimo anno sono 10. Le due domande iniziali mi hanno tormentato più volte nel corso dell’ultimo anno, tanto che i più attenti si saranno accorti che la frequenza dei post è, rispetto al passato radicalmente diminuita, tra i motivi non solo il tempo (è solo un ottimo alibi), ma il ripensare a contenuti e strumenti diversi rispetto al passato.

Il 2017 vuole quindi segnare l’evoluzione di questa finestra sul mondo. Leggi il seguito di questo post »

Un CRM (vero) per la Direzione HR come acceleratore di inclusione

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Inclusione_sociale_free

Viviamo in un contesto sempre più strano in cui sono presenti approcci tra loro opposti. Da un lato assistiamo ad una quasi maniacale dichiarazione di volere essere sempre più vicini al cliente, al prospect e al referrals, dall’altro al contrario assistiamo ad una standardizzazione dell’approccio interno all’azienda nei confronti delle persone che lavorano all’interno.

Se nell’ambito commerciale, le politiche sofisticate di CRM sono ormai decisamente diffuse, la stessa logica non la ritroviamo all’interno dell’azienda nei confronti dei propri dipendenti.

Se il contesto spinge consapevolmente o inconsapevolmente le aziende ad un orientamento sempre più inclusivo, si renderà necessario rimappare le caratteristiche, le abitudini, le passioni e non solo le competenze delle persone che lavorano all’interno dell’organizzazione. Leggi il seguito di questo post »

La capacità di accontentarsi: vizio o virtu?

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Ci sono persone che non si accontentano mai. Ci sono capi che non si accontentano mai, ci sono organizzazioni che determinano contesti in cui non ci si può mai accontentare.

Tutto ciò è corretto? O meglio è giusto affermare che sia sbagliato accontentarsi? Il ragionamento che vorrei condividere non vuole riferirsi ad un contesto assoluto in cui l’accontentarsi o il non accontentarsi determino specifiche caratteristiche individuali della persona, mi vorrei rivolgere a situazioni in cui le aziende scelgono di sviluppare situazioni e contesti in cui sia sbagliato accontentarsi.

Il capo che gestisce il collaboratore ha realmente il dovere di continuare a generare il senso del non accontentarsi sempre e comunque indipendentemente dalle caratteristiche della persona piuttosto che della situazione generale in cui orbita l’azienda?

Considerando tutte le volte che mi sono trovato a confrontarmi su questi temi con manager di diversa seniority, mi viene da pensare che forse, allontanarsi da situazione in cui le persone si accontentano, sia spesso la strada più semplice probabilmente perché si teme di non saper gestire la situazione opposta.

Gestire persone che si accontentano è forse più complesso, ma è anche certo che organizzazioni che creano contesti in cui le persone arrivano a trovare un proprio equilibrio, a volte accontentandosi a volte non accontentandosi hanno saputo crescere manager in grado di non governare con uno standard le proprie persone, seguendo quindi il percorso più difficile ma allo stesso tempo più efficace.

Lavorare in un’organizzazione in cui si respira,  anche solo indirettamente, una sensazione di perenne stato di disequilibrio è pericoloso, può infatti nel lungo periodo generare uno stato di completo distacco dalla realtà, generando indifferenza o insoddisfazione. Il saper accettare le situazioni, valutando gli aspetti positivi e contemporaneamente gli aspetti negativi diventa quindi un requisito centrale per riuscire a crescere persone in grado di apprezzare ciò che hanno avuto in funzione degli sforzi che hanno compiuto.

In un mondo che sviluppa tutto alla massima velocità è forse più probabile trovare contesti in cui regna constante la perenne insoddisfazione, per questa ragione probabilmente deve rientrare tra le caratteristiche del manager la capacità, a fronte di una perenne insoddisfazione, di creare le condizioni affinché le persone   siano in grado di prendere atto di ciò che di buono hanno fatto in funzione dei loro contributi e contemporaneamente possano prendere consapevolezza di un’oggettiva ed eventuale area di miglioramento che dovrà essere continuamente affrontata.

Scegliere strade fuori standard è spesso la strada più difficile, ma se l’obiettivo è quello di costruire organizzazioni realmente sostenibili forse è l’unica percorribile.

Linkedin index

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I tempi sono maturi per poter parlare di Linkedin index, ovvero l’indice di penetrazione di iscritti a Linkedin provenienti da organizzazioni aziendali. La metamorfosi del social network è evidente anche in Italia, i manager sono passati da un ruolo passivo: sono iscritto al social network; ad un ruolo attivo: utilizzo il social network per guardare ciò che accade intorno a me e soprattutto cerco costantemente di allargare la mia rete di contatti.

Da un punto di vista manageriale, il fatto che molti rappresentanti siano iscritti al più importante social network di professionisti rappresenta un bene o un male? Più che di bene o male, si tratta forse di una naturale evoluzione della percezione del lavoro che ognuno di noi ha, influenzata da come si vive all’interno della propria organizzazione aziendale, ma anche dal contesto esterno all’azienda e più specificatamente alle dinamiche che stanno caratterizzando il nuovo mercato del lavoro.

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Corsi di “rispetto” per manager

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Bisognerebbe ripartire dall’ABC, e non mi riferisco alle teorie di base del management ma alle regole della buona educazione e del saper vivere. Se fino a qualche hanno si potevano incontrare manager che raccontavano di aver appena superato un corso per conquistare il rispetto delle proprie “maestranze”, oggi suggerirei dei corsi per imparare a rispettare i propri collaboratori, clienti, fornitori e non il contrario.

Sempre più spesso, si assiste ad gap tra l’informalità che oggi i rapporti professionali richiedono e la mancanza di rispetto; se un capo non rispetta il proprio collaboratore che risultati potrà sperare di ottenere?  Leggi il seguito di questo post »

Mourinho, i manager e gli impiegati: stipendi inadeguati?

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Mou sarà il manager più pagato di Spagna, superando di circa 700 mila euro  Alfredo Saenz  il consigliere delegato del Banco Santander e di quasi 2 milioni di euro, Cesar Allerta, presidente di Telefonica.

Se pensiamo alle responsabilità dei due manager “aziendali”, rispetto ad un semplice allenatore di pallone, ovviamente rimarremmo senza parole, alcuni commenti letti in rete parlano addirittura di indecenza, stipendi troppi elevati nel calcio, ecc, ecc.

Personalmente non sono un amante del calcio, quindi lascio a loro la giusta interpretazione sulla dimensione ideale dello stipendio di un allenatore, ciò che mi stupisce è invece il fatto che raramente venga  analizzato un altro elemento spesso distorcente della realtà ovvero il gap di retribuzione che esiste soprattutto all’interno della pubblica amministrazione italiana. 

Spesso il rapporto tra un impiegato ed un dirigente è 1 a 3 o 1 a 4  ovvero un dirigente pubblico guadagna circa o almeno 3 volte in più di un impiegato, facendo,  nel caso della PA un lavoro del tutto simile a quello di un suo collaboratore.

Ovviamente qualcuno potrebbe obiettare che le responsabilità in gioco sono differenti, e che quindi sia giusto pagare molto di più un dirigente che un impiegato.

Il vero problema tuttavia non è solo il gap tra dirigente e impiegato è il fatto che probabilmente entrambe le figure hanno stipendi troppi bassi, un conto è guadagnare 3 volte in meno di un proprio dirigente partendo da una paga base interessante, un conto è guadagnare tre volte in meno partendo da una paga  che non supera i 1000€. mese.

In un’era in cui la parola d’ordine è tagliare gli stipendi pubblici, penso che sia giunto il momento di innalzare secondo criteri di performance management gli stipendi a chi è in grado di portare un contributo differente all’interno della pubblica amministrazione.

Il vero problema che in questi anni ha attanagliato il lavoro nella pubblica amministrazione è stato anche quello di aver visto la retribuzione come un elemento esterno rispetto al sistema di lavoro, se infatti nel settore privato si parla ormai da tempo di total reward, inserendo la componente retributiva all’interno di una visione globale del lavoratore all’interno dell’organizzazione, nella pubblica amministrazione siamo ancora lontani anni luce.

I motivi di questa miopia sono molteplici, le conseguenze tuttavia sono ora più che mai evidenti, da un lato abbiamo persone che continuano a lavorare in un contesto spesso demotivante e dotato di una bassissima possibilità di crescita professionalità, dall’altro, abbiamo stipendi che, nella maggior parte dei casi giustificano un basso livello di servizio erogato.

Oggi lavorare nella pubblica amministrazione non è più un’esperienza “da curriculum”, la vera sfida di qualunque amministratore pubblico dovrebbe essere anche quella di invertire questa tendenza, portando la professionalità della pubblica amministrazione ad essere un punto di riferimento per il settore privato (cosa che ormai è delegata solamente ad alcuni settori di nicchia), questo passaggio tuttavia si può innescare, cambiando le regole del gioco è inserendo dirigenti che siano in grado di essere manager anche di persone e non solo di risorse.

Cosa fare da “grande”: manager o tronista?

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Non potevo non presentare questa condivisibile riflessione di Pierluigi Celli attuale Direttore Generale dell’università LUISS Guido Carli. Si tratta di una lettera di Celli al figlio laureando. In poche righe Celli sintetizza in maniera egregia i motivi che dovrebbero spingere molte realtà aziendali (per lo meno) a orientarsi vero una nuova sostenibilità manageriale, in cui contano i valori e le competenze che si è in grado di erogare.

La lettera è stata pubblicata su Repubblica di oggi 30 novembre.

“Figlio mio, stai per finire la tua Università; sei stato bravo. Non ho rimproveri da farti. Finisci in tempo e bene: molto più di quello che tua madre e io ci aspettassimo. È per questo che ti parlo con amarezza, pensando a quello che ora ti aspetta. Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio.
Puoi solo immaginare la sofferenza con cui ti dico queste cose e la preoccupazione per un futuro che finirà con lo spezzare le dolci consuetudini del nostro vivere uniti, come è avvenuto per tutti questi lunghi anni. Ma non posso, onestamente, nascondere quello che ho lungamente meditato. Ti conosco abbastanza per sapere quanto sia forte il tuo senso di giustizia, la voglia di arrivare ai risultati, il sentimento degli amici da tenere insieme, buoni e meno buoni che siano. E, ancora, l’idea che lo studio duro sia la sola strada per renderti credibile e affidabile nel lavoro che incontrerai.

Ecco, guardati attorno. Quello che puoi vedere è che tutto questo ha sempre meno valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili; di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l’affiliazione, politica, di clan, familistica: poco fa la differenza.
Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all’attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai. E’ anche un Paese in cui, per viaggiare, devi augurarti che l’Alitalia non si metta in testa di fare l’azienda seria chiedendo ai suoi dipendenti il rispetto dell’orario, perché allora ti potrebbe capitare di vederti annullare ogni volo per giorni interi, passando il tuo tempo in attesa di una informazione (o di una scusa) che non arriverà. E d’altra parte, come potrebbe essere diversamente, se questo è l’unico Paese in cui una compagnia aerea di Stato, tecnicamente fallita per non aver saputo stare sul mercato, è stata privatizzata regalandole il Monopolio, e così costringendo i suoi vertici alla paralisi di fronte a dipendenti che non crederanno mai più di essere a rischio.
Credimi, se ti guardi intorno e se giri un po’, non troverai molte ragioni per rincuorarti. Incapperai nei destini gloriosi di chi, avendo fatto magari il taxista, si vede premiato – per ragioni intuibili – con un Consiglio di Amministrazione, o non sapendo nulla di elettricità, gas ed energie varie, accede imperterrito al vertice di una Multiutility. Non varrà nulla avere la fedina immacolata, se ci sono ragioni sufficienti che lavorano su altri terreni, in grado di spingerti a incarichi delicati, magari critici per i destini industriali del Paese. Questo è un Paese in cui nessuno sembra destinato a pagare per gli errori fatti; figurarsi se si vorrà tirare indietro pensando che non gli tocchi un posto superiore, una volta officiato, per raccomandazione, a qualsiasi incarico. Potrei continuare all’infinito, annoiandoti e deprimendomi.

Per questo, col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell’estero. Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati. Probabilmente non sarà tutto oro, questo no. Capiterà anche che, spesso, ti prenderà la nostalgia del tuo Paese e, mi auguro, anche dei tuoi vecchi. E tu cercherai di venirci a patti, per fare quello per cui ti sei preparato per anni.

Dammi retta, questo è un Paese che non ti merita. Avremmo voluto che fosse diverso e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente, senza chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno di questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché.

Adesso che ti ho detto quanto avrei voluto evitare con tutte le mie forze, io lo so, lo prevedo, quello che vorresti rispondermi. Ti conosco e ti voglio bene anche per questo. Mi dirai che è tutto vero, che le cose stanno proprio così, che anche a te fanno schifo, ma che tu, proprio per questo, non gliela darai vinta. Tutto qui. E non so, credimi, se preoccuparmi di più per questa tua ostinazione, o rallegrarmi per aver trovato il modo di non deludermi, assecondando le mie amarezze.

Preparati comunque a soffrire.

Con affetto,

tuo padre “

Pierluigi Celli  è stato direttore generale della Rai. Attualmente è direttore generale della Libera Università internazionale degli studi sociali, Luiss Guido Carli.  Fonte www.repubblica.it

Un buon motivo per tornare al lavoro

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motivazione

Non lo nascondo i primi giorni di lavoro dopo una vacanza lunga o corta che sia appaiono sempre difficili, tanto che pare impossibile aver retto per così tanti mesi di fila senza una piccola sosta. La prima riflessione che voglio sottoporre alla vostra attenzione riguarda quindi la motivazione del ritorno al lavoro.

 Nei giorni precedente il mio rientro effettivo (25 agosto u.s.) la cosa che mi creava più fastidio era l’impossibilità di continuare a pensare a tempo pieno alle mie passioni, (extrafamigliari, i figli prima di tutto….) di dedicare o avere lo stesso tempo libero anche durante l’anno…. riflessioni immagino comuni un po’ a tutti, da questo mio mugugno nasce però un’altra riflessione.

Parlando con amici e conoscenti che lavorano soprattutto all’interno di grandi organizzazioni aziendali, avrete immagino anche voi avuto modo di riscontrare un fenomeno chiaro, soprattutto per chi ha poca seniority da spendere: rimanere in ufficio per molto tempo, anche più del necessario è una condizione indispensabile per riuscire a dimostrare di far bene il proprio lavoro.

Ecco quindi che il tempo libero a disposizione diminuisce, che la possibilità di crearsi passioni o sperimentare competenze al dì fuori dell’ambito lavorativo diminuiscono e che quindi in generale, la possibilità di riuscire a creare ad un’organizzazione orientata alle persone e alla creazione di valore non solo economico ma anche sociale rapidamente si allontana.

Questa condizione viene vissuta e tollerata dalle persone junior nella speranza che tale condizione possa terminare con il crescere della seniority, in realtà si tratta spesso di un’utopia che diventa un’abitudine, che con il passare del tempo si stratifica e rende sempre più ingessate le organizzazioni. Si va in altri termini a creare una cultura aziendale orientata ai risultati e ai compiti e non alle persone.

Per riprendere in modo meno traumatico il lavoro sfruttando il relax che generato da momenti di vacanze, possiamo pensare ad un nuovo modo di intendere i rapporti gerarchici, spesso causa di malcontento e criticità organizzative e motivazionali. Essere capo oggi significa fare in modo di aver un team di lavoro in grado di portare all’interno dell’organizzazione competenze, professionalità, ma anche passioni e creatività. L’innovazione passa anche attraverso queste condizioni, quindi per una volta se una vostra risorsa esce dall’ufficio prima delle 20.00 non guardatelo in malo modo, al contrario chiedete come impegna il suo tempo libero, date dei suggerimenti per arricchire il contributo che può portare all’interno dell’organizzazione.

Immaginate il vantaggio di avere persone che quando escono dal proprio posto di lavoro continuano per ore a pensare a soluzioni o proposte per migliorare il business della loro azienda solamente perché sono dotate di passione,  hanno avuto la fortuna di avere dei capi che stimolano e incoraggiano la loro autonomia decisionale e agevolano l’esplorazione di nuove esperienze… non sarebbe male vero? ed inoltre  sarebbe completamente gratuito.

I tempi sono cambiate, vi ricordate i tempi in cui si leggeva della presenza di calciobalilla o video giochi nelle aziende più creative, piuttosto che di stanze per fare il riposino… ??? oggi la vera sfida consiste nell’agevolare le persone a coltivare il maggior numero interessi creando le condizioni affinché siano in grado di portare la passione e l’energia che solitamente utilizzano per attività esterne anche all’interno dell’organizzazione.

Come? Per iniziare interessandosi alla vita extraprofessionale dei propri collegi ed utilizzando realmente e concretamente lo strumento della delega.