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La capacità di accontentarsi: vizio o virtu?

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Ci sono persone che non si accontentano mai. Ci sono capi che non si accontentano mai, ci sono organizzazioni che determinano contesti in cui non ci si può mai accontentare.

Tutto ciò è corretto? O meglio è giusto affermare che sia sbagliato accontentarsi? Il ragionamento che vorrei condividere non vuole riferirsi ad un contesto assoluto in cui l’accontentarsi o il non accontentarsi determino specifiche caratteristiche individuali della persona, mi vorrei rivolgere a situazioni in cui le aziende scelgono di sviluppare situazioni e contesti in cui sia sbagliato accontentarsi.

Il capo che gestisce il collaboratore ha realmente il dovere di continuare a generare il senso del non accontentarsi sempre e comunque indipendentemente dalle caratteristiche della persona piuttosto che della situazione generale in cui orbita l’azienda?

Considerando tutte le volte che mi sono trovato a confrontarmi su questi temi con manager di diversa seniority, mi viene da pensare che forse, allontanarsi da situazione in cui le persone si accontentano, sia spesso la strada più semplice probabilmente perché si teme di non saper gestire la situazione opposta.

Gestire persone che si accontentano è forse più complesso, ma è anche certo che organizzazioni che creano contesti in cui le persone arrivano a trovare un proprio equilibrio, a volte accontentandosi a volte non accontentandosi hanno saputo crescere manager in grado di non governare con uno standard le proprie persone, seguendo quindi il percorso più difficile ma allo stesso tempo più efficace.

Lavorare in un’organizzazione in cui si respira,  anche solo indirettamente, una sensazione di perenne stato di disequilibrio è pericoloso, può infatti nel lungo periodo generare uno stato di completo distacco dalla realtà, generando indifferenza o insoddisfazione. Il saper accettare le situazioni, valutando gli aspetti positivi e contemporaneamente gli aspetti negativi diventa quindi un requisito centrale per riuscire a crescere persone in grado di apprezzare ciò che hanno avuto in funzione degli sforzi che hanno compiuto.

In un mondo che sviluppa tutto alla massima velocità è forse più probabile trovare contesti in cui regna constante la perenne insoddisfazione, per questa ragione probabilmente deve rientrare tra le caratteristiche del manager la capacità, a fronte di una perenne insoddisfazione, di creare le condizioni affinché le persone   siano in grado di prendere atto di ciò che di buono hanno fatto in funzione dei loro contributi e contemporaneamente possano prendere consapevolezza di un’oggettiva ed eventuale area di miglioramento che dovrà essere continuamente affrontata.

Scegliere strade fuori standard è spesso la strada più difficile, ma se l’obiettivo è quello di costruire organizzazioni realmente sostenibili forse è l’unica percorribile.

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Venditori perfetti? Ecco i missionari mormoni

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Francesco Semprini corrispondente da New York de La Stampa racconta in un suo recente articolo la nuova tendenza esplosa nelle aziende statunitensi di assumere missionari mormoni in qualità di venditori. Pare che i mormoni siano degli ottimi venditori porta a porta, tanto che per alcuni prodotti/servizi siano in grado di raggiungere incredibili performance commerciali.

E’ il caso della Pinnacle Security, società specializzata in sistemi di sicurezza per abitazioni, che anche in tempi di crisi è in grado di vedere crescere il proprio fatturato.

Si tratta di un altro caso di contaminazione? Avevamo già affrontato il tema a settembre parlando del caso dei “dabbawala” i pony express indiani, in questo caso tuttavia l’idea di privilegiare candidati che abbiano vissuto un esperienza da mormone, appare interessante perché è in grado di far emergere delle specifiche competenze che in questo caso possono essere messe a disposizione a favore del business.

Pare infatti che i 24 mesi trascorsi dai mormoni, nelle missioni sparse per il modo, consentano di sperimentare competenze di ascolto, ma anche di proposizione e di persuasioni simili a quelle che si possano incontrare durante un processo di vendita porta a porta.

Nel caso specifico, l’unica nota, non troppo positiva, consiste nella semplificazione del processo di contaminazione, la scelta fatta dalla Pinnacle Sicurity, così come da altre realtà, poteva prevedere di coinvolgere i mormoni, in un processo di condivisione e anche di formazione manageriale, in grado di far percepire anche a chi non ha mai vissuto un esperienza religiosa da mormone, i comportamenti tipici da utilizzare per intrattenere e persuadere le persone che si incontrano per strade o presso le loro abitazioni.

In altri termini, spesso si utilizza solamente una parte (anche ,imitata) del potenziale che la contaminazione dei saperi e delle esperienza può portare all’interno di un’organizzazione aziendale, semplificando ma anche limitando il valore erogato.

Prima dei mormoni, la stessa situazione è già stata vissuta dai militari (di qualunque ordine grado), addirittura ritenendo un plus curriculare il fatto di aver prestato il servizio militare nell’esercito… se ci pensate tutto ciò aveva un senso quando le organizzazioni rispecchiavano la perfetta struttura gerarchica, oggi che un modello organizzativo perfetto fatica ad emergere, diventa indispensabile saper strutturare tutte le esperienze anche quelle che apparentemente sono distanti dal business e dalle aziende. Più le organizzazioni utilizzano sistemi per captare le differenze più avranno facilità nel mettere a sistema i diversi contributi valoriali portati dalle persone che vi lavorano all’interno.