fiducia

Serve ancora timbrare il cartellino?

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Francamente penso di no! Il problema del timbrare o meno il cartello non rientra solo in una logica di controllo/fiducia che condiziona la cultura aziendale, va ben oltre. Timbrare o strisciare il badge identifica principalmente il lavoro come l’occupazione del tempo di una risorsa, spesso,  non sempre, poca importa cosa fai e come lo fai. Questo concetto di lavoro ha condizionato sia le organizzazioni che il pensiero del lavoratore, ed a volte si è verificato un condizionamento involontario reciproco. Leggi il seguito di questo post »

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Un buon motivo per tornare al lavoro

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motivazione

Non lo nascondo i primi giorni di lavoro dopo una vacanza lunga o corta che sia appaiono sempre difficili, tanto che pare impossibile aver retto per così tanti mesi di fila senza una piccola sosta. La prima riflessione che voglio sottoporre alla vostra attenzione riguarda quindi la motivazione del ritorno al lavoro.

 Nei giorni precedente il mio rientro effettivo (25 agosto u.s.) la cosa che mi creava più fastidio era l’impossibilità di continuare a pensare a tempo pieno alle mie passioni, (extrafamigliari, i figli prima di tutto….) di dedicare o avere lo stesso tempo libero anche durante l’anno…. riflessioni immagino comuni un po’ a tutti, da questo mio mugugno nasce però un’altra riflessione.

Parlando con amici e conoscenti che lavorano soprattutto all’interno di grandi organizzazioni aziendali, avrete immagino anche voi avuto modo di riscontrare un fenomeno chiaro, soprattutto per chi ha poca seniority da spendere: rimanere in ufficio per molto tempo, anche più del necessario è una condizione indispensabile per riuscire a dimostrare di far bene il proprio lavoro.

Ecco quindi che il tempo libero a disposizione diminuisce, che la possibilità di crearsi passioni o sperimentare competenze al dì fuori dell’ambito lavorativo diminuiscono e che quindi in generale, la possibilità di riuscire a creare ad un’organizzazione orientata alle persone e alla creazione di valore non solo economico ma anche sociale rapidamente si allontana.

Questa condizione viene vissuta e tollerata dalle persone junior nella speranza che tale condizione possa terminare con il crescere della seniority, in realtà si tratta spesso di un’utopia che diventa un’abitudine, che con il passare del tempo si stratifica e rende sempre più ingessate le organizzazioni. Si va in altri termini a creare una cultura aziendale orientata ai risultati e ai compiti e non alle persone.

Per riprendere in modo meno traumatico il lavoro sfruttando il relax che generato da momenti di vacanze, possiamo pensare ad un nuovo modo di intendere i rapporti gerarchici, spesso causa di malcontento e criticità organizzative e motivazionali. Essere capo oggi significa fare in modo di aver un team di lavoro in grado di portare all’interno dell’organizzazione competenze, professionalità, ma anche passioni e creatività. L’innovazione passa anche attraverso queste condizioni, quindi per una volta se una vostra risorsa esce dall’ufficio prima delle 20.00 non guardatelo in malo modo, al contrario chiedete come impegna il suo tempo libero, date dei suggerimenti per arricchire il contributo che può portare all’interno dell’organizzazione.

Immaginate il vantaggio di avere persone che quando escono dal proprio posto di lavoro continuano per ore a pensare a soluzioni o proposte per migliorare il business della loro azienda solamente perché sono dotate di passione,  hanno avuto la fortuna di avere dei capi che stimolano e incoraggiano la loro autonomia decisionale e agevolano l’esplorazione di nuove esperienze… non sarebbe male vero? ed inoltre  sarebbe completamente gratuito.

I tempi sono cambiate, vi ricordate i tempi in cui si leggeva della presenza di calciobalilla o video giochi nelle aziende più creative, piuttosto che di stanze per fare il riposino… ??? oggi la vera sfida consiste nell’agevolare le persone a coltivare il maggior numero interessi creando le condizioni affinché siano in grado di portare la passione e l’energia che solitamente utilizzano per attività esterne anche all’interno dell’organizzazione.

Come? Per iniziare interessandosi alla vita extraprofessionale dei propri collegi ed utilizzando realmente e concretamente lo strumento della delega.

Non è compito mio!!!

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gramellini foto

Il post di oggi mi viene suggerito dal fondo di  Massimo Gramellini apparso su La Stampa. Nelle poche ma sempre pungenti e attente frasi di Gramellini, emergono tutti gli elementi per affermare ancora una volta la necessità di sviluppare un management sostenibile guidato da coraggio ma soprattutto da responsabilità, o meglio voglia di assumersi responsabilità. Non mi riferisco ovviamente al sistema bancario (caso citato nell’artciolo) in particolare, ma più in generale occorre ripensare e reinterpretare il ruolo che ognuno di noi assume all’interno delle organizzazioni, soprattutto aziendali.

Ecco qui l’articolo di Massimo Gramellini:

“L’altro ieri, a Settimo Torinese, il signor Giovanni ha gambizzato la signora Silvana, che gli aveva negato un prestito. Ieri diversi lettori hanno telefonato a La Stampa per dire: ha fatto bene. E a me è venuto un brivido. Ho scritto Giovanni e Silvana, invece che un «panettiere indebitato» e «una direttrice di filiale» perché ho l’impressione che si uscirà da questa crisi solo se smetteremo di trattare gli altri come dei simboli e ricominceremo a considerarli delle persone. Il piccolo imprenditore strozzato dalla mancanza di ordini non vede nel bancario la rotellina impotente di un meccanismo anonimo, ma il capro espiatorio perfetto. E il bancario, stritolato dalla gabbia dei regolamenti interni, non dialoga più con Francesco o Maria, con le loro storie e le loro capacità,ma con i clienti X e Y a rischio d’insolvenza. Ho saputo di un artigiano che si è visto rifiutare il pagamento di una bolletta di 8 euro perché il computer negava alla banca il permesso di pagare. È questa rigidità arida che ci sta finendo. La solidarietà è diventata un dentifricio per sbiancarsi la coscienza, invece significa mettersi nei panni degli altri e smetterla di considerarli pedine intercambiabili, singole voci di una lista memorizzata in qualche archivio. Non siamo tutti uguali, al di qua dello sportello come al di là. Ci sono lo scansafatiche e il manigoldo: non meritano aiuto. E ci sono l’artigiano volenteroso e l’imprenditore che si indebita per non licenziare: questi vanno foraggiati strizzando anche un occhio, alla faccia dei regolamenti e delle griglie dei computer. Perché alla fine, porca miseria, siamo ancora esseri umani.” (fonte La Stampa 16 luglio 2009)

Donazioni & fiducia alimentano la CSR per le organizzazioni non profit

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donazioni

Ritorno su un argomento a lungo trattato negli ultimi mesi, mi riferisco al tragico evento sismico che ha colpito la gente d’Abruzzo.

Il focus di questo post si concentra sulle donazioni che a fronte del terremoto sono giunte presso le numerose associazioni ed enti impegnati nella ricostruzione post terremoto.

Inutile dire che, ancora una volta, la generosità ha permesso di raccogliere cifre realmente interessanti da destinarsi alla ricostruzione delle zone terremotate. Le casse delle associazioni si sono in alcuni casi letteralmente riempite, con la conseguenza responsabilità di dover rendere conto, ancora con più attenzione, del reale utilizzo delle somme versate.

Da un punto di vista manageriale la vera criticità per le organizzazioni non profit potrebbe essere rappresentato dalla sottovalutazione dell’importanza di essere in grado di gestire correttamente il flusso delle donazioni ed in generale le prossime raccolte fondi.

Le aree di attenzione sono due:

  1. Essere in grado di sfruttare nel momento dell’emergenza i potenziali contatti che solitamente si utilizzano per la raccolta fondi istituzionale dell’organizzazione non profit
  2. Essere in grado di monitorare e rendicontare puntualmente e costantemente l’utilizzo di tutti i contributi raccolti.

Per quanto riguarda il primo punto è da notare che sono ancora molte le associazioni o organizzazioni che non dispongono di un “portafoglio” di donatori a cui poter chiedere uno sforzo in caso di emergenze, e che quindi le donazioni raccolte in caso di emergenza sono solo frutto della fedeltà o riconoscibilità del brand e non della capacità di raccolta fondi.  

Per quanto riguarda il secondo punto, spesso ci si dimentica di dar conto del proprio operato, sopravvalutando la propria capacità comunicativa, o in altri casi abusando della fiducia del propri donatori.

Le emergenze sono un’occasione per imparare rapidamente a gestire i flussi di donazioni, per essere colta come opportunità bisogna tuttavia avere l’umiltà e la voglia di imparare prima ancora di gestire, di raccogliere fondi considerando questa attività sempre più centrale per lo sviluppo del non profit.

In altri termini, la capacità di raccolta fondi (intendendo capacità di raccolta, di gestione e di impegno dei fondi)  non è solo un’area di miglioramento manageriale che non può essere improvvisata ma diventa uno dei momenti centrali delle azioni di CSR delle organizzazioni non profit

Fiducia&Galbani

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immagine-fiducia-galbani

Ho atteso qualche settimana prima di dedicare attenzione al caso Galbani soprattutto per riuscire ad avere più notizie in merito a quanto è accaduto.  Attualmente sono ancora in corso gli accertamenti della magistratura per far chiarezza sugli eventi. Non è mia intenzione analizzare il fatto o le conseguenze dello stesso sull’andamento del business dell’azienda,  al contrario vorrei prendere in considerazione le conseguenze sulla vita delle persone che lavorano all’interno dell’organizzazione.

Molte realtà aziendali negli ultimi hanno declinato una visione, una missione ma sopratutto dei valori guida, ovvero quei valori portanti che consentono alle persone di indirizzare i propri comportamenti in maniera coerente con la cultura aziendale ideale.

Spesso vision, mission e valori hanno ruolo specifico nell’organizzazione, occupano pareti di uffici, aule, corridoi, in forme e scritte colorate, diventando un ottimo complemento d’arredo, per anni giacciono lì senza aver un particolare peso o considerazione, apparentemente sembrano innocui ed ininfluenti rispetto alle dinamiche quotidiane…

Questa condizione tuttavia cambia radicalmente quando si verifica un evento imprevisto, con conseguenze importante per la vita delle persone.

Spesso di fronte a tali eventi i valori prendono vita, vengono riletti e interpretati alla luce di quanto sta accadendo all’azienda, ed in queste condizioni acquisiscono un significato opposto rispetto alle intenzioni per i quali sono stati declinati, si allontano cioè dall’essere un modello di riferimento per i comportamenti delle persone.

Prendiamo ora in considerazione i valori dichiarati di Galbani, provando a rileggerli alla luce dei recenti fatti.

I valori aziendali di Galbani sono:

  • Accountability: Esprimere un forte senso di responsabilità personale in tutto ciò che si fa.
  • Energised by Challenger: Appassionarsi ad obiettivi sfidanti ed agire con determinazione per raggiungerli.
  • Face the Reality: Affrontare le situazioni per ciò che sono e non per ciò che vorremmo fossero, con coraggio e trasparenza.
  • Interdependence: Lavorare insieme con fiducia nelle capacità degli altri.
  • Respect for the People: Ascoltare e valorizzare tutte le persone, senza riguardo a differenze non legate alla performance.
  • External Focus: Concentrarsi su ciò che è più importante per i clienti e i consumatori, semplificando le attività se non aggiungono valore al business.

Non li commento, ma il rischio di generare confusione, sfiducia e allontanamento dal senso di appartenenza è probabilmente molto elevato se non certo, soprattutto se non si mettono in atto azioni di coinvolgimento e di spiegazione anche coerenti con ciò che è dichiarato dai valori.

Come fare ad evitare situazioni simili? Ragionare in ottica di management sostenibile significa al contrario pensare alle conseguenze che ogni azione può avere sulla vita organizzativa. Creare un mission statement (missione, visione e valori) può essere strategicamente vincente solamente se esiste una coerenza quotidiana nel rispetto e soprattutto nella condivisione dei valori declinati. Se quei valori non diventano patrimonio comune dell’organizzazione saranno interpretati solamente come spot non vissuti dalle persone o nel peggiore dei casi come complementi d’arredo…

Ancora una volta ritorniamo a due punti fondamentali del management sostenibile:

          ogni azione va valutata per l’impatto che può produrre nel breve, nel medio e nel lungo periodo,

          ogni azione deve essere coerente con la cultura aziendale esistente

Definire un mssion statement è efficace nella misura in cui si prevede un coinvolgimento nella declinazione dei valori prima e nell’implementazione dei comportamenti dopo di tutte le persone che fanno parte dell’organizzazione. Se la declinazione avviene attraverso il lavoro di un numero ristretto di persone difficilmente si otterrà un risultato operativo, ma solamente degli slogan privi di sentimento e di significato.

Il coinvolgimento in questo caso deve essere costante, non solo in fase di declinazione ma anche in fase di applicazione dei valori durante la quotidianità. Il valore per essere efficace deve essere vissuto trasversalmente all’interno dell’organizzazione.

Sarebbe ora interessante capire cos’è successo in Galbani dopo i recenti eventi; in particolare quali azioni sono state implementate oltre all’eventuale solita lettera di chiarimenti…?