Fiat

Il cambiamento culturale e lo spot in TV

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Dopo Esselunga ci prova anche Fiat, con le dovute differenze. L’ultimo spot della Fiat Panda, non parla dell’auto, ma parla dell’Italia, di quell’Italia di cui essere fieri secondo di quell’Italia che produce (anche la Panda) e genera valore. Anche questo spot ha direttamente o indirettamente una funzione manageriale, un risvolto con possibili conseguenze più o meno chiare all’interno degli stabilimenti Fiat italiani.

Si fatica quasi a capire se lo spot sia rivolto ai dipendenti o ai potenziali clienti della Panda, si fatica inoltre a capire se vuole essere una promozione dell’Italia o meglio dell’italianità (per il momento ancora dominante) di Fiat.

Ciò che appare comunque interessante è sempre correlato ai risvolti che una simile azione di comunicazione può generare tra i dipendenti Fiat; può essere infati anche considerato come uno strumento per aumentare lo spirito di appartenenza o la capacità di attrarre talenti di Fiat. Se l’intendo era quello di celebrare il modello Pomigliano, pare riuscito, resta sempre da verificare se esiste una coerenza interna a Fiat rispetto ai messaggi veicolati con lo spot.

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Lavoratori, imprenditori e piani industriali

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Sul caso Fiat io sto con Ichinio. Molte parole sono state spese negli ultimi giorni sul nuovo piano industriale di Fiat, non intendo aggiungerne altre anche perché l’intervista del Prof. Pietro Ichino pubblicata su La Stampa del 31 dicembre esprime dal mio punto di vista il miglior pensiero possibile sull’argomento. Riporto di seguito l’intervista integrale realizzata da Carlo Bertini.

OCCORRE UN SISTEMA DI RELAZIONI INDUSTRIALI CHE CONSENTA LA SCOMMESSA COMUNE TRA LAVORATORI E IMPRENDITORE SUI PIANI INDUSTRIALI INNOVATIVI

Intervista a cura di Carlo Bertini, pubblicata su la Stampa il 31 dicembre 2010

Professor Ichino, da esponente dell’ala liberal del Pd, ritiene sia possibile su una questione così complessa formulare una risposta che metta d’accordo, se non il centrosinistra, almeno il suo partito?
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Turbolenza, sostenibilità manageriale e competitività, atto III. Ci casca anche Ducati

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Qualche mese fa scrissi un post intitolato “Turbolenza, sostenibilità manageriale e competitività tre fattori che non sempre seguono direzioni unitarie”   con l’obiettivo di far emergere il rapporto tra la turbolenza dei mercati, il management sostenibile e la competitività, prendendo come esempio un mercato poco turbolento (rispetto ad altri)  come quello dell’acciaio. La questione al centro di ogni controversia sindacale si riferiva infatti al cambio tuta, operazione per la quale i sindacati erano a richiedere un riconoscimento temporale di alcuni minuti al giorno, in quanto tale operazione ritenuta propedeutica alla sicurezza. Leggi il seguito di questo post »

“I capi si scelgono, non si subiscono”

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E questa la frase che riassume nel modo migliore questo bel libro di Riccardo Ruggeri “Una storia operaia”. Ruggeri ripercorre la sua vita ricordando i personaggi che ha incontrato nel suo percorso professionale che lo ha visto nascere come operaio Fiat fino a diventare Amministratore Delegato di New Holland, portando quest’ultima alla quotazione a Wall Street.

Il testo lo consiglierei a due tipologie di persone, quelle che pensano che intanto cambiare non serve, che sia impossibile , che intanto è inutile, e a tutti gli studenti universitari che hanno intenzione di entrare in un’azienda.

Ruggeri è in grado di sintetizzare con chiarezza e semplicità gli ultimi 40 anni di storia manageriale parlando da protagonista della più importante industria italiana.

Parla di modelli organizzativi, di scelte strategiche e di comportamenti manageriali che ancora oggi risultano tutt’altro che banali.  

Se da un lato emerge ovviamente un’Italia che non c’è più, dall’altra emergono molteplici similitudini con l’attuale mondo manageriale sempre più ancorato ad una fallimentare visione di breve periodo, a discapito di una visione sempre più miope del ruolo che un’impresa dovrebbe esercitare nel contesto economico e sociale.

Sono tre i passaggi interessanti rispetto all’evoluzione degli scenari manageriali, da un lato la descrizione di Carlo De Benedetti,  indicato come l’uomo della seconda occasione Fiat (non colta ovviamente), dall’altro la descrizione particolareggiata che non emerge in altri libri di testo di Valletta, ed infine l’interessante interpretazione che fornisce dello spaccato Olivetti, del modo di intendere la managerialità secondo Olivetti.

Non è un manuale ma rende chiari alcuni concetti che i manuali non sono in grado di spiegare…

Produttività & Mondiali

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Considerato il momento, stavo per scrivere un post sul legame che esiste tra la produttività e i mondiali di calcio (relativamente alle partite trasmesse in orario pomeridiano o comunque diurno), sono infatti molte le opnioni in merito… mentro stavo abbozzando il post, ho avuto il piacere di leggere il post pubblicato su un blog a me vicino “complessità.wordpress.com“, che affronta il problema nel migliore dei modi.

Vi invito quindi a leggere il post cliccando qui.

Aggiungo solo una notizia che ovviamente farà discutere… i sindacati della Fiom Cgil e della Fim – Cisl dello stabilimento Fiat di Termini Imerese hanno proclamato uno sciopero di due ore dalle 20 alle 22 di lunedì 14 giugnio…. quasi lo stesso orario della partita Italia – Paraguay….. 

Buona lettura

Termini Imerese, Dow Jones e sostenibilità

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Quale legame esiste tra Ternini Imerese il Dow Jones e la sostenibilità? Apparentemente nessuno, in realtà il fattore comune è rappresentato da Fiat, che oltre a possedere uno stabilimento a Termini Imerese, è entrata a far parte sia dell’indice Dow Jones Sustainability World sia del Dow Jones Sustainability Stoxx (riservato alle imprese europee) con un punteggio di 90/100 contro una media di 70/100 delle aziende del settore, un risultato sicuramente esaltante che testimonia il grande impegno verso la sostenibilità esercitata dal Gruppo Fiat in questi ultimi anni.

Come giustificare quindi le recenti decisioni di chiudere uno stabilimento come Termini Imerese? Non va scontrarsi con le più elementari regole di sostenibilità?

Emerge evidentemente una possibile incoerenza tra la sostenibilità dichiarata dagli indicatori e la realtà competitiva con cui un colosso globale come Fiat si trova a confrontarsi.

Dal mio punto di vista interpreto la contraddizione in questo modo; assumendo un punto di vista globale e non più nazionale, ed una prospettiva di medio e lungo periodo e non di breve,  può apparire lecito anche ai più sprovveduti comprendere quando sia improduttivo insistere su uno stabilimento in mezzo al mediterraneo, in una terra lontana dalle più elementari infrastrutture, piuttosto che investire in un paese emergente dell’est del mondo.

Tale ovvietà tuttavia si scontra con due elementi certamente non sottovalutabili, da un lato frutto di scelte passare dall’altro frutto di possibili scelte future.

Mi spiego meglio, la decisione di chiudere Termini Imerese, va a scontrarsi con decisioni del passato nella misura in cui si considerano gli sforzi (economici e sociali) che i governi italiani negli ultimi 20 anni hanno cercato di fare per agevolare Fiat e il contesto sociale in cui operava il gruppo; va a scontrarsi inoltre con le possibili decisioni future nel momento in cui Fiat dichiara giustamente di voler seguire la strada della sostenibilità come dichiarato dallo stesso Marchionne in un’intervista apparsa il 25 settembre su La Stampa di Torino : “Questo traguardo (riferendosi all’ingresso degli indici di sostenibilità del Dow Jones) dimostra che per Fiat la sostenibilità è un modo di fare impresa che guida le scelte di ogni giorno. Continueremo ad impegnarci per mantenere alti i nostri standard e per migliorare le nostre performance, contribuendo a creare valore di lungo periodo per tutti gli stakeholders”. Se per sostenibilità quindi condividiamo l’interesse di generare valore di lungo periodo per tutti gli stakeholders come giustifichiamo la scelta di chiudere Termini Imerese?

Spesso si utilizza la sostenibilità come alibi, dichiarando di essere sostenibili, oppure dimenticandosi della stessa a seconda della convenienza del momento, siamo all’alba di una nuova era, Fiat è sicuramente una realtà significativa che si è impegnata molto in questi anni (vedi post 23/11/2008) nel riportare al successo una realtà ormai dichiarata da molti spacciata, tuttavia il nuovo successo di Fiat dipenderà dalla coerenze delle proprie azioni anche sul fronte della sostenibilità.

Una nuova “cultura” in Chrysler

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Fa notizia il fatto che l’arrivo di Sergio Marchionne in Chrysler sia stato segnato da alcuni importanti avvenimenti primo dei quali aver rinunciato ad un ufficio “suite”, trasferendo la sua postazione operativa dal 15° piano al quarto piano, ovvero al centro di coordinamento tecnico.

Marchionne ha quindi intenzione di applicare anche in Chrysler lo stesso stile manageriale che ha consentito a Fiat di superare una difficile situazione di crisi rilanciandola sul mercato mondiale dell’auto.

In sintesi lo stile Marchionne prevede una sua presenza  ed una vicinanza stretta a tutto il management per riuscire a condividere, ma anche a guidare la nuova squadra verso un difficile percorso di rinascita.

La vera notizia che deve farci riflettere è tuttavia un’altra, non riguarda le capacità del top  manager italiano, quanto il fatto che, rinunciare ad alcuni status di riconoscimento, generi più clamore rispetto alle performance che prevede di raggiungere.

Più volte ho parlato di cultura aziendale, e di cambiamento manageriale, entrambi gli stati possono essere raggiunti attraverso continui e significativi passi verso una nuova e diversa direzione che passa anche attraverso l’eliminazione o la sostituzione apparenti ed inutili “status” che oggi non hanno più significato di esistere (forse no lo hanno mai avuto).

Ancora una volta la coerenza diventa un elemento centrale per riuscire a vincere sfide sempre più complesse, se il messaggio che il top management vuole lanciare a tutti i collaboratori (di ogni ordine e grado) è quello di “rimboccarsi le maniche”, è evidente che il primo a dar l’esempio non può che essere colui che sarà preposto a guidare l’intera organizzazione.

Anche questo è un pensiero banale che tuttavia non sempre viene rispettato e considerato. Sono molte le organizzazione in cui ancora oggi trovi ad esempio ascensori dedicati ai “dirigenti”… immaginate voi quale interpretazioni possono farsi i non “dirigenti” di quell’inutile status….

In sintesi il “Marchionne Style” può essere riassunto come il buon senso all’interno di un’organizzazione, avendo il coraggio di superare ogni paradigma e guardando al futuro con gli occhi di crede nella possibilità di cambiare le cose.

La fine del Taylorismo

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immagine-fiat-peoleFiat People scritto da Francesco Garello e Roberto Provana  certifica una volta per tutte la fine del taylorismo anche all’interno della più grande azienda italiana che per molti rimane ancora oggi il simbolo della catena di montaggio.

Un’esperienza affascinante e per molti versi unica per il tempo con in cui è stata condotta, la people strategy di Fiat rappresenta realmente un caso di successo internazionale, forse giunta con grande ritardo rispetto ad altre case automobilistiche.

L’osservazione più significativa dal punto di vista del management sostenibile è tuttavia legata alle condizioni iniziali che hanno portato Sergio Marchionne e il suo staff ad affrontare una vera rivoluzione culturale all’interno della “fabbrica” per definizione.

Fiat prima dell’arrivo di Marchionne stava vivendo una delle più difficili crisi dalle sue origini, si trovava in una condizione realmente al limite della sostenibilità, era alle soglie di una situazione di non ritorno.

Tale condizione causata da molteplici e complessi fattori sicuramente ha avuto un peso sulla vita delle persone all’interno dell’organizzazione, che direttamente hanno subito questa situazione e indirettamente ne sono state la causa, insomma una vera situazione di emergenza dalla quale uscirne sembrava impossibile.

Uno dei fattori di successo della peolple strategy di Fiat probabilmente è stato proprio il conteso ed il perimetro di azione, aver preso consapevolezza della necessità di avviare un processo di cambiamento culturale finalizzato a coinvolgere tutte le persone, nessuna esclusa, valorizzando ognuno per le proprie competenze e passioni, è risultato vincente.

Essere nella condizione per cui è facile pensare “non ho nulla da perdere” forse è risultato essere il volano del successo delle entusiasmanti iniziative implementate dal board Fiat.

Le vere riflessione, al di là del successo meritato di chi ha implementato tali strategie in Fiat sono tuttavia altre:

          in un contesto di non emergenza la stessa strategia avrebbe avuto lo stesso effetto negli stessi tempi?

          Quali azioni sono necessari per consolidare la trasformazione culturale

Nelle situazioni di non emergenza il requisito di base che spesso viene meno è il coraggio, unito alla consapevolezza delle proprie azioni. Spesso se non si è realmente costretti si implementano rivoluzioni a metà con effetti il più delle volte discutibili e solo parzialmente efficaci ad affrontare nuovi scenari e nuove sfide. Per quanto riguarda infine le azioni di consolidamento della trasformazione culturale, occorre precisare, che a fronte di un cambiamento reale emergeranno delle nuove abitudini orientate al nuovo modo di vivere all’interno dell’organizzazione, le azioni di consolidamento devono tenere conto delle nuove abitudini emerse in seguito al cambiamento culturale proponendo tuttavia nuovi e continui stimoli affinché le abitudini stesse in un domani non troppo lontano non diventino un ulteriore trappola alla competitività.