top management
Una nuova “cultura” in Chrysler
Fa notizia il fatto che l’arrivo di Sergio Marchionne in Chrysler sia stato segnato da alcuni importanti avvenimenti primo dei quali aver rinunciato ad un ufficio “suite”, trasferendo la sua postazione operativa dal 15° piano al quarto piano, ovvero al centro di coordinamento tecnico.
Marchionne ha quindi intenzione di applicare anche in Chrysler lo stesso stile manageriale che ha consentito a Fiat di superare una difficile situazione di crisi rilanciandola sul mercato mondiale dell’auto.
In sintesi lo stile Marchionne prevede una sua presenza ed una vicinanza stretta a tutto il management per riuscire a condividere, ma anche a guidare la nuova squadra verso un difficile percorso di rinascita.
La vera notizia che deve farci riflettere è tuttavia un’altra, non riguarda le capacità del top manager italiano, quanto il fatto che, rinunciare ad alcuni status di riconoscimento, generi più clamore rispetto alle performance che prevede di raggiungere.
Più volte ho parlato di cultura aziendale, e di cambiamento manageriale, entrambi gli stati possono essere raggiunti attraverso continui e significativi passi verso una nuova e diversa direzione che passa anche attraverso l’eliminazione o la sostituzione apparenti ed inutili “status” che oggi non hanno più significato di esistere (forse no lo hanno mai avuto).
Ancora una volta la coerenza diventa un elemento centrale per riuscire a vincere sfide sempre più complesse, se il messaggio che il top management vuole lanciare a tutti i collaboratori (di ogni ordine e grado) è quello di “rimboccarsi le maniche”, è evidente che il primo a dar l’esempio non può che essere colui che sarà preposto a guidare l’intera organizzazione.
Anche questo è un pensiero banale che tuttavia non sempre viene rispettato e considerato. Sono molte le organizzazione in cui ancora oggi trovi ad esempio ascensori dedicati ai “dirigenti”… immaginate voi quale interpretazioni possono farsi i non “dirigenti” di quell’inutile status….
In sintesi il “Marchionne Style” può essere riassunto come il buon senso all’interno di un’organizzazione, avendo il coraggio di superare ogni paradigma e guardando al futuro con gli occhi di crede nella possibilità di cambiare le cose.
Centrimark: competitività e sostenibilità
Ancora una volta confermo quello che ho già pubblicato alcune settimane fa circa la necessità di rendere patrimonio dell’organizzazione le politiche di corporate social responsibility evitando che diventino esclusivamente attività decise dai vertici e condivise solo in parte e/o forzatamente dalle persone che compongono le organizzazioni.
Una recente ricerca condotta da Centrimark dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano dimostra quanto i temi della competitività e soprattutto della sostenibilità siano centrali rispetto alle decisioni assunte dai top manager, tuttavia non si spiega come mai tale centralità non si riesca a tradurre in azioni concrete con ricadute reali su tutti gli stakeholder dell’organizzazione.
La sostenibilità è considerata prioritaria nella comunicazione ma non sempre nelle azioni sviluppate a sostegno di un business responsabile.
Allego di seguito un interessante articolo di Francesca Sottilaro pubblicato su Italia Oggi, che commenta la ricerca di Centrimark
Sostenibilità, decide solo il capo – Di Francesca Sottilaro
Dietro ai grandi gruppi che sposano politiche verdi o scelte sostenibili il tuttofare in tema di sostenibilità è il top management: sposa la causa perché l’azienda sia più competitiva sul mercato, crede che sia utile per migliorare performance economiche e rinforzare l’immagine aziendale sul territorio. Ma, a sorpresa, assume ancora un ruolo da osservatore nei confronti della sostenibilità pur tenendo gelosamente per se la materia e coinvolgendo poco, rispetto al dovuto, gli uffici di marketing.
Questa, in sintesi, la lettura dell’indagine svolta da Centrimark su Competitività e sviluppo sostenibile per il convegno in corso a Milano della Società italiana marketing. CEO IN TESTA. Per il 70,8% delle imprese l’attenzione alla sostenibilità è cresciuta a tal punto da far sentire il suo peso sulle scelte manageriali. Nell’87,3% delle aziende il top management è coinvolto in prima linea nelle decisioni relative allo sviluppo sostenibile.”In gioco vi è la sfida delle aziende del futuro”, spiega Renato Fiocca, ordinario di marketing all’Università Cattolica di Milano e direttore di Centrimark, “Oggi le discussioni in atto, con un occhio alle normative, mettono in evidenza limiti e sviluppo. In questo senso i manager hanno una grande responsabilità”. Nei confronti di politiche sensibili ai temi di ambiente o etica i vertici delle realtà italiane risultano infatti in una fase di responsabilizzazione a distanza. Partendo da tre cluster, Centrimark ha classificato il 37% dei manager come “osservatori” (soprattutto in aziende business to consumer), il 35% nella categoria dei “perplessi” (e lavorano spesso nel btob) e solo il 28% sono stati identificati come veri “supporter” di una politica di sensibilizzazione e appartengono di solito a realtà all’avanguardia. POLITICHE SÌ, ATTENZIONE AI PREZZI PURE. Le maggiori determinanti nell’attuazione di strategie orientate alla sostenibilità sono riconducibili alle politiche d’impresa (51%) tallonate, e spesso inscindibili dalla ricerca di una maggiore competitività sul versante dei costi (soprattutto in ambito energetico, 30,9%). Seguono in termini di importanza, lo sviluppo di nuovi prodotti e di più validi processi produttivi (27,9%) e il desiderio di differenziare la propria offerta (26,5%). L’attenzione ai prezzi è molto forte. Per oltre il 50% dei manager intervistati, infatti, i consumatori non sono disposti a pagare più del 3% del prezzo per politiche sostenibili e l’interesse in progetti simili non è sempre scontato. Scatta così per il cliente ogni misura necessaria quando si investe in etica: il 63,3% rafforza l’assistenza dopo vendita; il 54,4% delle aziende punta sulla chiarezza delle informazioni; il 49,8% interagisce; il 46,6% investe su politiche di prezzo trasparenti.MARKETING ALL’ANGOLO. Esiste tuttavia, secondo l’indagine Centrimark, un differenziale ancora importante tra intenzioni, decisioni ed effettivi comportamenti dei manager quando si parla di politiche sostenibili. “Le intenzioni dichiarate sono spesso ottime; le decisioni e, soprattutto, i comportamenti quotidiani risentono ancora di priorità diverse, che non sempre pongono la sostenibilità ai primi posti”, racconta lo studio. Il 52% degli intervistati ha difficoltà a individuare benefici; il 49,1% lamenta una carenza dei fondi; il 32,7% non trova ci sia riconoscimento sul mercato. A decidere sono sempre i vertici (87,3%). L’ufficio marketing ha voce in capitolo solo nel 41,7% dei casi e il controllo qualità nel 35,8% dei casi. Senza parlare del Reparto ricerca e sviluppo che pesa solo per il 4,9% nelle aree a presidio della sostenibilità.”C’è ancora molto da dire e fare”, dice Fiocca, “la sostenibilità non ha un plafond, è un argomento senza fondo”.