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Cortocircuito Ikea
Questo è un primo post di due dedicati alla vicenda Ikea relativa al mancato accordo con i sindacati per il rinnovo del contratto integrativo di lavoro.
Lascio alle cronache la narrazione della vicenda che sintetizzo, forse velocemente, nella difficoltà di trovare un accordo tra Ikea e le rappresentanze sindacali; le difficoltà sono dovute a due fattori principali, il prima si indentifica nella decisione dell’azienda di passare sotto Federdistribuzione cambiando di fatto l’ambito contrattuale di riferimento, il secondo nella crisi che nonostante tutto, ha colpito anche Ikea portandosi dietro la necessità di modifiche a condizioni contrattuali e salariali ritenute (sempre da Ikea) non più sostenibili. Leggi il seguito di questo post »
La deresponsabilizzazione dell’art.18
In questi giorni di nuova discussione sull’art.18 dello statuto dei lavori, emergono differenti punti di vista.
L’attualità dell’argomento con estensione o validità solo per i neo assunti, fa nascere differenti reazioni, in primis quelle di chi non crede che l’abolizione dello stesso possa incrementare l’occupazione.
Sul tema ho cercato di esplorare differenti punti di vista e vorrei condividere con voi il mio.
L’assunto di base di chi non crede nell’incremento dell’occupazione si basa sul fatto che oggettivamente non ci sia lavoro e quindi questa azione non porti che ad uno svantaggio per tutti indebolendo i diritti dei lavoratori. Io penso che questo assunto sia solo in parte vero. E’ evidente che rispetto ad altri momenti storici l’offerta di lavoro sia limitata, tuttavia è limitata altrettanto la domanda di lavoro qualificata e quindi in grado di essere utile alle aziende che ancora oggi per scelta o per necessità stanno cercando nuovi lavoratori. Leggi il seguito di questo post »
Privato & pubblico: perché non sono ancora la stessa cosa
In linea di principio non si può che essere d’accordo con il Ministro Fornero rispetto alla parità di trattamento (in particolare sull’applicazione delle modifiche dell’articolo 18) tra i lavoratori pubblici e quelli privati, tuttavia ci sono alcuni aspetti che non possono essere trascurati prima di prendere decisioni su un tema così delicato.
E’ indubbio, non solo per dati statistici, ma anche per esperienze personali da molti di voi vissute in prima persona, che nel mondo della pubblica amministrazione ci sia un tasso più elevato, rispetto al privato, di lavoratori che hanno una produttività media inferiore al peggiore degli stati evoluti che si possano prendere in considerazione, è altrettanto vero che la propensione al lavoro in molti casi è inferiore a quella presente nel mondo privato ed è altrettanto vero che i lavoratori pubblici son in parte “cosa pubblica” ovvero pagati con i contributi di ogni cittadino. Leggi il seguito di questo post »
Turbolenza, sostenibilità manageriale e competitività, atto III. Ci casca anche Ducati
Qualche mese fa scrissi un post intitolato “Turbolenza, sostenibilità manageriale e competitività tre fattori che non sempre seguono direzioni unitarie” con l’obiettivo di far emergere il rapporto tra la turbolenza dei mercati, il management sostenibile e la competitività, prendendo come esempio un mercato poco turbolento (rispetto ad altri) come quello dell’acciaio. La questione al centro di ogni controversia sindacale si riferiva infatti al cambio tuta, operazione per la quale i sindacati erano a richiedere un riconoscimento temporale di alcuni minuti al giorno, in quanto tale operazione ritenuta propedeutica alla sicurezza. Leggi il seguito di questo post »
La cassa integrazione di Schumi
Mi capita raramente di soffermarmi sulle pagine sportive dei quotidiani, non sono un grande tifoso, ma la vicenda del passaggio di Schumacher dalla Ferrari alla Mercedes di Ross Brawn ha colpito la mia attenzione.
Non ho intenzione di commentare la scelta sportiva di Schumacher (di questa notizia potete trovare approfondimenti e riflessioni sicuramente più precise e interessanti delle mie) ma le conseguenze che si sono scatenate all’interno dell’azienda Mercedes, sponsor della scuderia condotta da Brawn.
Negli scorsi giorni infatti molti operai in cassa integrazione hanno protestato per l’ingaggio milionario di Schumi, si parla ufficialmente di 7 milioni di euro all’anno (ufficiosamente sono circa 20 milioni all’anno).
E’ normale la reazione degli operai Mercedes che da mesi percepiscono uno stipendio ridotto a causa della cassa integrazione? Direi di si, tuttavia anche in questo caso vale la pena, per non finire nella banalità delle opinioni e del qualunquismo, analizzare i comportamenti del management e del sindacato.
Da un lato Norbert Haug direttore sportivo della Mercedes afferma che l’ingaggio di Schumi farà vendere un numero maggiore di auto e quindi porterà un beneficio anche agli operai cassaintegrati, dall’altro lato il sindacato Mercedes definisce inaccettabile uno stipendio a sei zeri in un momento di crisi come quello che sta vivendo la casa di Stoccarda.
Anche in questo caso sembra che la verità sia di entrambe le parti, quindi chi ha ragione e chi ha torno? Forse entrambi o forse nessuno, dipende il punto di vista che su vuole assumere. Considerando la questione nell’ottica di una gestione manageriale sostenibile si potrebbe affermare sicuramente che la responsabilità maggiore sia del management Mercedes, che forse ha sottovalutato l’importanza di condividere anche queste scelte con il sindacato (dove per condivisione si intende una maggiore informazione e non una negoziazione) mostrando un disegno strategico più ampio non solo al sindacato ma a tutte le persone che lavorano in Mercedes, in altre parole, se non è stato fatto, conveniva prevedere meglio le possibili reazioni delle persone che questa volta hanno protestato pubblicamente in altri momenti avrebbero semplicemente reagito esercitando un “mugugno” invisibile ma altrettanto problematico.
Allo stesso modo anche i comportamenti dei sindacati dovrebbero iniziare a prendere una strada diversa alla semplice contrapposizione di potere, la protesta in questione in linea di principio può apparire giusta, tuttavia diventa banale e indifendibile se collegata semplicemente alla retribuzione del pilota, il problema o i problemi sono probabilmente altri anche se spesso appare più semplice cavalcare proteste popolari e/o mediatiche.
Sarebbe interessante in questo particolare momento storico considerare i valori aziendali. Supponendo infatti che Mercedes abbia dei valori condivisi, sarebbe interessante comprendere come questi valori siano coerenti rispetto alla scelta fatta nei confronti del sindacato e di Schumacher. Allo stesso modo il sindacato invece di cavalcare una protesta sterile avrebbe potuto rivalersi sui valori aziendali chiedendo coerenza al management rispetto alla scelta di ingaggiare Schumacher o più in generale di continuare ad investire milioni di euro nella F1 in controtendenza rispetto ad altre importante realtà automobilistiche quali Toyota, Honda e BMW che hanno deciso di abbandonare i circuiti di F1.