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Diritto di disconnessione: un fallimento manageriale

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La Francia ha trasformato in legge un desiderio di molti, quello di vietare l’invio ( o meglio la ricezione) di mail/messaggi fuori dall’orario di  lavoro!

Moltissimi, come anticipato hanno accolto la notizia come una riconquista dei diritti dei lavoratori, come un ritorno alla centralità della persona, o ancora come un elemento di rispetto del confine tra vita professionale e vita personale.

Ho citato tutti elementi che non si possono non condividere, ma che al tempo stesso rappresentano vero fallimento del ruolo manageriale all’interno delle organizzazioni. Leggi il seguito di questo post »

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La cassa integrazione di Schumi

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Mi capita raramente di soffermarmi sulle pagine sportive dei quotidiani, non sono un grande tifoso, ma la vicenda del passaggio di Schumacher dalla Ferrari alla Mercedes di Ross Brawn ha colpito la mia attenzione.

Non ho intenzione di commentare la scelta sportiva di Schumacher (di questa notizia potete trovare approfondimenti e riflessioni sicuramente più precise e interessanti delle mie) ma le conseguenze che si sono scatenate all’interno dell’azienda Mercedes, sponsor della scuderia condotta da Brawn.

Negli scorsi giorni infatti molti operai in cassa integrazione hanno protestato per l’ingaggio milionario di Schumi, si parla ufficialmente di 7 milioni di euro all’anno (ufficiosamente sono circa 20 milioni all’anno).

E’ normale la reazione degli operai Mercedes che da mesi percepiscono uno stipendio ridotto a causa della cassa integrazione? Direi di si, tuttavia anche in questo caso vale la pena, per non finire nella banalità delle opinioni e del qualunquismo, analizzare i comportamenti del management e del sindacato.

Da un lato Norbert Haug direttore sportivo della Mercedes afferma che l’ingaggio di Schumi farà vendere un numero maggiore di auto e quindi porterà un beneficio anche agli operai cassaintegrati, dall’altro lato il sindacato Mercedes definisce inaccettabile uno stipendio a sei zeri in un momento di crisi come quello che sta vivendo la casa di Stoccarda.

Anche in questo caso sembra che la verità sia di entrambe le parti, quindi chi ha ragione e chi ha torno? Forse entrambi o forse nessuno, dipende il punto di vista che su vuole assumere. Considerando la questione nell’ottica di una gestione manageriale sostenibile si potrebbe affermare sicuramente che la responsabilità maggiore sia del management Mercedes, che forse ha sottovalutato l’importanza di condividere anche queste scelte con il sindacato (dove per condivisione si intende una maggiore informazione e non una negoziazione) mostrando un disegno strategico più ampio non solo al sindacato ma a tutte le persone che lavorano in Mercedes, in altre parole, se non è stato fatto, conveniva prevedere meglio le possibili reazioni delle persone che questa volta hanno protestato pubblicamente in altri momenti avrebbero semplicemente reagito esercitando un “mugugno” invisibile ma altrettanto problematico.  

Allo stesso modo anche i comportamenti dei sindacati dovrebbero iniziare a prendere una strada diversa alla semplice contrapposizione di potere, la protesta in questione in linea di principio può apparire giusta, tuttavia diventa banale e indifendibile se collegata semplicemente alla retribuzione del pilota, il problema o i problemi sono probabilmente altri anche se spesso appare più semplice cavalcare proteste popolari e/o mediatiche.

Sarebbe interessante in questo particolare momento storico considerare i valori aziendali. Supponendo infatti  che Mercedes abbia dei valori condivisi, sarebbe interessante comprendere come questi valori siano coerenti   rispetto alla scelta fatta nei confronti del sindacato e di Schumacher. Allo stesso modo il sindacato invece di cavalcare una protesta sterile avrebbe potuto rivalersi sui valori aziendali chiedendo coerenza al management rispetto alla scelta di ingaggiare Schumacher o più in generale di continuare ad investire milioni di euro nella F1 in controtendenza rispetto ad altre importante realtà automobilistiche quali Toyota, Honda e BMW che hanno deciso di abbandonare i circuiti di F1.

Ferrari, Apple, Armani… una doppia responsabilità.

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Ferrari, Apple, Giorgio Armani, Intesa San Paolo, Google, sono queste le prime 5 aziende che i giovani hanno indicato come aziende ideali per cui lavorare (fonte Universum). Questo dato conferma che il brand assume quindi una connotazione strategica non solo nei confronti dei potenziali clienti ma anche per i potenziali collaboratori. Tale tendenza fa emergere tuttavia alcune fondamentali riflessioni nell’ottica del management sostenibile.

Se dal punto di vista della reputazione del brand quasi tutte le aziende medio e grandi si sono mosse negli ultimi anni in una precisa direzione, ponendo attenzione ad alcuni parametri di qualità e affidabilità, orientandosi sempre di più verso le aspettative e le esigenze del cliente, forse lo stesso non si può sul fronte interno, rispetto alle esigenze dei propri collaboratori ed in generali di tutti gli altri stakeholders (clienti esclusi).

Il fatto di avere una forte capacità attrattiva nei confronti di potenziali candidati, deve necessariamente tradursi in una particolare attenzione verso la soddisfazione (per quanto sia possibile) delle aspettative dei giovani che entreranno all’interno di queste aziende.

Il rischio concreto è che a fronte di una grande aspettativa, il più delle volte ci si ritrovi a confrontarci con una realtà interna che è completamente distante rispetto a quanto appare all’esterno.

La responsabilità individuale di ogni manager e più in generale dell’intera organizzazione sarà quindi quella di non abusare della propria attrattività, ma al contrario di aumentare ancora di più l’attenzione verso i nuovi entranti. 

Spesso il fatto di essere entrati in una realtà ambiziosa quanto esclusiva, può far scattare la “sindrome da caserma”, ovvero: “adesso che sei entrato prima di godere dei privilegi devi subire….”

Ovviamente non è sempre così, il mio vuole solo un monito nei confronti di chi ha la possibilità di abusare dei propri ruoli di responsabilità e alle spalle sa di avere un numero infinito di candidati.

Più si agisce in maniera responsabile nei confronti di queste nuove risorse, più avremo la possibilità di agevolare un processo di cambiamento culturale spesso necessario in molte realtà aziendali.

Il giovane che è attratto e porta passione ed entusiasmo deve essere in grado di tradurre tale passione in un contributo all’interno dell’azienda, ovviamente guidato e agevolato dal management aziendale; se di fronte a tale possibilità, il management non cogli l’opportunità, si rischia di coltivare un’altra volta una classe manageriale non sempre all’altezza della complessità degli scenari che ci attenderanno.