Cortocircuito Ikea
Questo è un primo post di due dedicati alla vicenda Ikea relativa al mancato accordo con i sindacati per il rinnovo del contratto integrativo di lavoro.
Lascio alle cronache la narrazione della vicenda che sintetizzo, forse velocemente, nella difficoltà di trovare un accordo tra Ikea e le rappresentanze sindacali; le difficoltà sono dovute a due fattori principali, il prima si indentifica nella decisione dell’azienda di passare sotto Federdistribuzione cambiando di fatto l’ambito contrattuale di riferimento, il secondo nella crisi che nonostante tutto, ha colpito anche Ikea portandosi dietro la necessità di modifiche a condizioni contrattuali e salariali ritenute (sempre da Ikea) non più sostenibili.
Non voglio in questo post, entrare nel merito delle motivazioni che hanno spinto sia Ikea che i sindacati a intraprende tale percorso, difficile e poco produttivo.
Una visione sicuramente superficiale (la mia) mi porta a pensare che le motivazioni di Ikea siano del tutto sostenibili e legittime proprio perché basate sulla volontà di costruire un sistema retributivo basato sulla misurazione delle performance e non solo sui diritti acquisiti, tuttavia l’oggetto di osservazione vuole essere un altro.
Negli ultimi 10 anni abbiamo letto moltissimi articoli, citazioni, testimonianze relative al modello culturale di Ikea, tanto da diventare per alcuni, un punto di riferimento nella gestione delle persone, un modello di coinvolgimento e di sviluppo basato sul rispetto, sul coinvolgimento e sull’inclusione; in altri termini un modello manageriale basato sulla costruzione di una solida cultura aziendale che pone al centro le persone.
Ciò che faccio fatica a giustificare e soprattutto a comprendere è quello che è successo negli ultimi mesi. Non riesco a comprendere come un modello considerato forte e incentrato su una cultura orientata alle persona possa essere andato in crisi così facilmente. [Considerando che la proposta di Ikea (dichiarata) potrebbe portare a condizioni retributivi migliorative nel medio e lungo periodo per i lavoratori con le migliori performance].
Le risposte a queste situazione potrebbero quindi essere due; o il modello culturale dichiarato è solamente una facciata fragile di un modo di lavorare sostenuto esclusivamente dalla leva retributiva, o al contrario l’operato del sindacato è stato formidabile tanto da essere riuscito a scardinare il modello culturale, di essere riuscito a comunicare e coinvolgere i lavoratori meglio di quanto ha fatto Ikea tanto da poter essere considerato un vero interlocutore capace di condizionare il futuro e il successo aziendale. Siccome il sindacato, sfortunatamente per tutti non è in grado di avvicinarsi a quanto appena descritto, per ovvi motivi di incompetenza e cultura, rimane valida la prima delle due risposte.
Se fosse vera l’ipotesi che ho appena citato, occorrerebbe ripensare seriamente alle best practices dichiarate e diffuse all’interno dei mondi aziendali e soprattutto delle risorse umane. Dobbiamo infine considerare altri due aspetti; rileggendo i comunicati stampa emerge che, nonostante la situazione di crisi Ikea non abbia mai licenziato nessuno anzi abbia dato il via a politiche di sviluppo e di assunzione. Tale dato è oggettivo e quindi vero. Emerge però anche un secondo aspetto, pare che, a fronte di una diminuzione contestuale del business, il quartier generale abbia chiesto una maggiore marginalità (anche in questo caso di tratta di una richiesta legittima). Tale richiesta, se reale (anche in questo caso non è difficile fare 1+1=2), pare si sia concretizzata nella dichiarazione di un nuovo sistema di performance management finalizzato a modificare in senso più variabile la retribuzione del lavoratore.
Se così fosse ci troveremmo difronte ad una perfetta ipersoluzione (vi ricordate: “operazione perfettamente riuscita, paziente deceduto…”) oppure ad enorme una semplificazione della realtà e soprattutto inconsapevolezza delle retroazioni delle scelte manageriali adottate.
Se il problema è la marginalità, e si decide di agire sul costo del personale, quali conclusioni possono trarre i lavoratori nel momento in cui si propone una nuova soluzione manageriale che nello specifico tocca la variabilità della retribuzione? Non serve un esperto di management o di politiche retributive per comprendere il senso dell’iniziativa.
Se, al contrario, come affermano jn Ikea, il nuovo sistema di performance management (soprattutto) andrà a premiare nel medio e nel lungo periodo tutti i lavoratori, (situazione che non fatico a credere conoscendo le dinamiche di un sistema di performance management), l’errore che hanno commesso nel coinvolgere i lavoratori, nel comunicarlo e nel gestirlo è stato grossolano e superficiale.
Soluzioni ed errori fanno comunque riflettere sulla fragilità del sistema identitario aziendale, e sugli strumenti, spesso inadeguati per riuscire a consolidare un sistema valoriale e di appartenenza che non sia solo basato sul valore economico. Nel prossimo post prenderò in considerazione il ruolo del sindacato in questa vicenda.