Turbolenza, sostenibilità manageriale e competitività, atto III. Ci casca anche Ducati
Qualche mese fa scrissi un post intitolato “Turbolenza, sostenibilità manageriale e competitività tre fattori che non sempre seguono direzioni unitarie” con l’obiettivo di far emergere il rapporto tra la turbolenza dei mercati, il management sostenibile e la competitività, prendendo come esempio un mercato poco turbolento (rispetto ad altri) come quello dell’acciaio. La questione al centro di ogni controversia sindacale si riferiva infatti al cambio tuta, operazione per la quale i sindacati erano a richiedere un riconoscimento temporale di alcuni minuti al giorno, in quanto tale operazione ritenuta propedeutica alla sicurezza.Concludevo l’articolo in questo modo: “Se il Gruppo ILVA di trovasse a competere in uno scenario di mercato differente, probabilmente le scelte rispetto ad una situazione analoga sarebbero state ovviamente differenti”, pensando che una scelta tanto lontana da qualunque principio manageriale post tayloristico non fosse applicabile se non ad aziende di quel tipo, in cui anche un potenziale atteggiamento poco attendo al cliente da parte di chi stava nel reparto produzione non potesse provocare ripercussioni sullo sviluppo del business.
In realtà m sbagliavo, la mia ingenuità a dirla tutta con quel post ha superato ogni limite, non potevo infatti immaginare che la tendenza assunta da ILVA potesse essere presa ad esempio anche da altre realtà industriali operanti in contesti altamente competitivi.
Poche settimana la Ducati, ha deciso di abolire una pausa di 5 minuti per il lavaggio delle mani (degli operai).
Potete immaginare l’eco di tale notizia tra gli operai e tra i sindacati. Cinque minuti di pausa istituzionalizzata e successivamente abolita possono presentare alcune ripercussioni non sottovalutabili, le cui conseguenze dipendono fortemente dalla cultura aziendale esistente.
Se l’obiettivo della decisione era quello di aumentare la produttività, tale obiettivo dubito sarà mai raggiunto, se l’obiettivo si riferiva ad un risparmio economico, dubito che questo si possa verificare, se l’obiettivo infine era quello di avviare un braccio di ferro e segnare una presa di posizione nei confronti dei sindacati, forse in questo caso potremmo affermare che l’obiettivo sia parzialmente riuscito, senza tuttavia comprenderne i risvolti pratici.
Mettendosi da punto di vista aziendale, una scelta simile, vuole chiaramente essere letta come un messaggio chiaro rispetto al mondo sindacale, che sempre più spesso abusa e lavora per contrapposizione e non per integrazione all’interno dell’organizzazione aziendale, tuttavia tale messaggio viene letto ed interpretato anche dai lavoratori che se si trovassero costretti a scegliere tra l’azienda e il sindacato , rischierebbero di generare uno stallo produttivo o comunque una significativa diminuzione della performance.
Da un punto di vista sindacale, appare evidente che di fronte ad una scelta simile, l’unica alternativa rimane la contrapposizione radicale, senza se e senza ma, tuttavia anche in questo caso esiste il rischio di perdere di credibilità e di generare situazioni simili a quelle vissute da Fiat.
Tale scelta infine ha una chiara ripercussione sulla vita quotidiana di chi era abituato a quei 5 minuti di pausa; immagino che nessuno possa dichiarare di subire uno sconvolgimento della propria vita, tuttavia potrebbe faticare a comprenderne le ragioni innescando un meccanismo di allontanamento rispetto alla mission aziendale.
Se la decisione dell’abolizione della pausa, nascesse da una decisione condivisa e argomentata con gli interessati, tale azione non avrebbe nessuna ripercussione all’interno della produzione, al contrario, pur confidando in un diffuso senso di responsabilità, potrebbe generare una “distrazione sistematica” che tradotta in altri termine potrebbe generare una diminuzione del livello di attenzione con conseguente perdita di qualità. Sappiamo tutti che la perdita di qualità in un settore molto turbolento come quello motociclistico potrebbe portare ad una situazione competitiva più complessa… tutto questo per 5 minuti “spesi diversamente” .
La trappola di questi comportamenti è evidente, da un lato il sindacato incapace di assumere una visione più ampia rispetto alla tutela del lavoro non riuscendo a diventare un partner strategico per l’azienda, dal’altro l’azienda, che con simili atteggiamenti potrebbe voler gettare la basi per una possibile delocalizzazione della produzione, ed infine dall’altra i lavoratori che per definizione invece di essere abituati ad assumere prospettive di medio e lungo periodo sono costretti ad proiettarsi sempre più spesso in un futuro prossimo e molto incerto. Da questa triangolazione sembra emergere vincente l’azienda (artefice della trappola), tuttavia, se osserviamo con la lente del management sostenibile potremmo affermare che tali scelte non sono in grado di tradursi in alcun modo in un vantaggio competitivo in quanto portano all’interno una miopia fuori tempo, che rischia di rigenerarsi inconsapevolmente in altri momenti e in altri contesti, anche quelli delocalizzati.