compagnie aeree
Fino a che punto giustificare la flessibilità?
Lo abbiamo sentito e detto più volte, uno dei requisiti di successo di un’azienda che vuole continuare (o iniziare) ad essere competitiva è rappresentato dalla possibilità di governare e spesso cavalcare il cambiamento a cui costantemente è sottoposta. Per affrontare il cambiamento è necessario dimostrare di essere capaci ad osservare ciò che sta accadendo intorno a sé, capirne i vincoli e le opportunità e successivamente agire; in altri termini la flessibilità deve essere un requisito basilare nei nuovi approcci manageriali.
Pensando al termine flessibilità, che porta con sé molti aspetti vincenti e positivi, siamo sempre più spesso portati a pensare che tutto ciò che non estremamente flessibile sia rigido e quindi ostacolo al cambiamento e quindi alla competitività.
Esiste un livello o un indicatore di flessibilità medio che possa essere tenuto in considerazione?
Quando si deve essere flessibili per essere di successo? In Italia ma non solo, è vero, siamo poco propensi in quanto poco abituati a pensare in termini flessibili soprattutto relativamente al lavoro e alle retribuzioni, tuttavia c’è un caso, o meglio un settore che forse ha superato ogni limite che vorrei condividere con voi.
La flessibilità letta nell’ottica del management sostenibile deve consentire a chi opera all’interno di un’organizzazione e a chi gestisce l’organizzazione di trovare una duplice soddisfazione, entrambi i soggetti devono beneficiare di questa condizione. Se si verifica uno sbilanciamento dei benefici a favore di uno o dell’altro si verificano effetti esponenziali negativi.
Facciamo un esempio, prendiamo in considerazione forse un caso limite ma ugualmente interessante, il lavoro delle hostess dell’Alitalia.
Navigando sul sito interne di Alitalia possiamo leggere: “La nuova Alitalia nasce dall’iniziativa di imprenditori privati che hanno una grande sensibilità alla qualità del servizio offerto e una forte attenzione alle esigenze del cliente, nella consapevolezza che questi elementi sono essenziali per lo sviluppo del business e delle aziende. E così sarà anche per la nuova compagnia di bandiera italiana: i passeggeri sono centrali nelle strategie di sviluppo della compagnia. L’impegno è quello di garantire che i servizi a terra e quelli a bordo consentano un’esperienza di viaggio tipica della qualità che caratterizza da sempre l’Italian style. Decolla di nuovo Alitalia, con l’obiettivo di diventare il vettore di riferimento in Italia e un player internazionale”.
Per riuscire a raggiungere questo importante obiettivo si rende necessario disporre di personale flessibile che sappia cogliere dalla nuova compagna un’opportunità…
Tuttavia a fronte di questa situazione emerge che molte delle hostess che devono garantire un “esperienza di viaggio tipica della qualità che caratterizza da sempre l’Italian Style” sono soggette ad iniziative di flessibilità forse estreme come la sostituzione dell’ultimo minuto o “riserva” come emerge anche dal reportage di Maria Corbi pubblicato su La Stampa di Torino, ovvero nella possibilità da parte della compagnia di chiamarti in servizio anche solo con un preavviso di 30 minuti….
Lo strumento della “riserva” porta benefici ad entrambi i soggetti, oppure siamo in un tipico caso di sbilanciamento dei benefici? La hostess di riserva che vive il proprio lavoro “sospeso”, quando salirà a bordo o a terra come riuscirà ad erogare un servizio eccellente e memorabile?
Ancora una volta esiste un legame tra il modo di gestire un’organizzazione ed i risultati di business o i livelli di servizio erogati.
Sia chiaro, mediamente in un anno prendo circa 35 voli quasi tutti sulla tratta Milano-Roma ed esclusivamente (ovviamente) con Alitalia, non sono per nulla soddisfatto del servizio, e non sono quindi un fan della compagnia di Bandiera Italiana, la mia riflessione di oggi non vuole tuttavia essere a favore o contro Alitalia ma è focalizzata sull’esasperazione di un concetto di per sé positivo e vincente quale la flessibilità.
Leggerezze manageriali
Qualche settimana fa appariva su “La Stampa” un’interessante intervista a Gregory Alegi, docente all’Accademia aeronautica e alla Luiss (dove insegna gestione delle compagnie aeree) a proposito dei continui incidenti aerei che si stavano verificando. Le situazioni descritte nell’articolo portano alla luce un contrasto spesso presente nelle organizzazioni, riduzione dei costi, meno assunzioni, meno formazione e quindi meno attenzione alle persone. Tale situazione non sempre porta a situazione drammatiche, tuttavia è un chiaro indicatore di insostenibilità manageriale, soprattutto dove una mancanza di attenzione può dar vita a conseguenze difficili da gestire. Il caso delle compagnie aeree non è ovviamente isolato, spesso si preferisce agire su aspetti apparentemente meno strategici e più semplici da governare rispetto ad un’analisi più attenta e profonda degli scenari in cui opera la stessa organizzazione. Comportamenti come quelli descritti da Alegi, li ritroviamo spesso in piccolissime realtà, dove per estrema necessità si è a volte costretti a ridurre il personale e la formazione, è difficile tuttavia giustificarli in colossi multinazionali che operano nel settore del trasporto aereo.
Non mi risulta che Ryanair ed Easyjet abbiamo mai pubblicato un CSR report, sarebbe interessante capire come poter giustificare tale azioni nell’ottica della sostenibilità.
Riporto di seguito l’intervista di Luigi Grassia, pubblicata il 27 agosto sul quotidiano “La Stampa”
Intervista LUIGI GRASSIA C’e’ una sindrome estiva nel trasporto aereo. In agosto – lo dicono le cronache di quest’anno e quelle degli anni passati – si registra un picco di incidenti. Come mai? Gregory Alegi, docente all’Accademia aeronautica e alla Luiss (dove insegna gestione delle compagnie aeree), comincia col mettere il dito in due piaghe: «D’estate viene assunto molto personale stagionale per le operazioni a terra. Non sempre il livello di addestramento e’ adeguato. E questo puo’ portare a uno stillicidio di eventi negativi, che non arrivano ai giornali e alle tv. Per esempio: durante il carico e lo scarico di cibo e bagagli possono esserci tamponamenti fra aerei e macchine su ruota. Poi aumenta il rischio delle cosiddette ”runaway intrusion”: in parole povere, due o piu’ aerei entrano sulla stessa pista. Non dico che queste cose sfocino in veri incidenti, ma sono sintomo di un sistema complessivo del trasporto aereo che tende a operare ai limiti». Questo problema riguarda solo le operazioni a terra? «No, anche il personale di volo. Ci sono hostess e steward assunti solo per l’estate. Gli assistenti di volo hanno un ruolo nella gestione delle emergenze e, se non sono ben preparati ad affrontarle, possono aggravarne le conseguenze. Di nuovo, non dico che questo debba necessariamente capitare: nel caso dell’aereo di RYANAIR e di quello di Easyjet di qualche giorno fa, hostess e steward se la sono cavata egregiamente. Comunque il sistema tende al limite. Anche per i piloti». Non ci saranno anche assunzioni di piloti stagionali? «Anche peggio. Una volta c’erano tre piloti per aereo, adesso solo due, e c’e’ una tendenza a ridurli a uno. Per esempio in Australia il comandante puo’ essere affiancato non da un vero secondo pilota ma da un ”Mpl” che e’, in sostanza, un pilota con un’abilitazione parziale. In Europa la compagnia danese Sterling volava con questi Mpl, e adesso che sta ristrutturando non c’e’ nessuno che voglia assumere questi mezzi piloti, perche’ non sono ritenuti abbastanza qualificati. Eppure un secondo pilota serve: capita solo una volta all’anno, in tutta Europa, che il comandante abbia un infarto (mi pare sia successo l’ultima volta con la British), ma, se il secondo pilota non e’ in grado di far atterrare l’aereo, come si fa? Non bisognerebbe portare la sicurezza ai limiti per risparmiare sugli stipendi, ma purtroppo la tendenza e’ questa». Le low cost sono piu’ pericolose? «Pur senza violare le regole, tendono a spingere i turni di lavoro al limite del consentito. D’altra parte, le grandi compagnie low cost e charter hanno aerei molto piu’ nuovi e piu’ efficienti di quelle di linea».