parità

Non scherziamo… sono donne!

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Dopo il post “Uomini e donne” del 27 settembre 2010 ritorno come promesso sul tema della parità dei ruoli all’interno delle aziende, anche perché è in fase di approvazione la legge sulle quote rose all’interno dei CdA.

Parto da una semplice riflessione maturata dopo aver letto un recente sondaggio a cura di Ipsos dove emerge un dato che apparentemente sembra sconvolgente ma che in probabilmente è semplicemente frutto di una visione distorna della realtà.

Dal sondaggio emerge che il 43% delle persone intervistate non vede favorevolmente l’applicazione di una legga che impone un numero fisso di donne all’interno dei CdA, quindi pur avendo un consenso positivo emerge che una buona parte non lo è affatto, nascondendosi dietro al concetto che le persone (donne) dovrebbero essere scelte in funzione delle loro capacità e non per appartenenza al genere.

Tale dato viene rafforzato da alcune interviste pubblicate su “Il sole 24 ore”  del 10 dicembre 2010 ed in particolare quella di Fulvio Conti CEO di Enel che, pur riconoscendo un ruolo fondamentale alle donne e dichiarandosi favorevole alla legge, cade in una evidente contraddizione ovvero afferma che il principio cardine di scelta deve essere il principio del merito.

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Extracomunitari: una risorsa per la competitività delle imprese

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Da più fronti emerge chiaramente che le persone straniere che lavorano in Italia i c.d. extracomunitari, rappresentano realmente una risorsa, addirittura per qualche imprenditore insostituibile.  Fin qui non posso che essere concorde con questa visione, di fronte ad un mondo che continua a cambiare, anche le abitudine e le aspettative di lavoro mutano, quindi l’ingresso di nuove persone all’interno del nostro territorio non può che riequilibrare questa divergenza di aspettative e di prospettive.

Il vero elemento da tenere sottocontrollo  riguarda tuttavia la retribuzione percepita dai lavoratori stranieri in Italia, secondo infatti il Rapporto sulle economie regionali della Banca d’Italia, emerge che il reddito degli stranieri è in media inferiore dell’11% rispetto a quello percepito da un lavoratore italiano, questo dato è sostenuto dal fatto che spesso lavoratori stranieri hanno una scolarità inferiore rispetto agli italiani e quindi si occupano di mansioni inferiori.

Questa interpretazione appare del tutto legittima, tuttavia può diventare un segnale di allarme nel momento in cui assistiamo a generalizzazione di trattamento, in alcune realtà o mercati, non viene neppure dato modo allo straniero di dimostrare la propria scolarità, semplicemente per il fatto di essere straniero riceve un trattamento differente.

Detto così sembra di leggere un trattato di economia degli anni 30 in realtà è quello che spesso accade a molti immigrati che si confrontano con il nostro  tessuto imprenditoriale, senza considerare il tasso di lavoro sommerso “offerto” agli stranieri.

Se si vuole costruire un’economia civile e socialmente responsabile bisogna considerare il valore che gli immigrato sono in grado di portare al nostro territorio, in primis il fatto che sono una risorsa economica, fiscale e soprattutto previdenziale.

Solo gli imprenditori o i manager che si trovano a dirigere imprese leader e competitive ad alto utilizzo di manodopera, come ad esempio espresso molto bene – in un intervista apparsa su La Stampa qualche settimana fa –  di Mario Carraro presidente di Carraro Group di Campodarsego (PD) leader mondiale nella meccanica, riescono veramente a capire il valore che lo straniero è in grado di  offrire, scontrandosi spesso con leggi  incoerenti e non utili ad uno sviluppo sostenibile.