leadership
Non scherziamo… sono donne!
Dopo il post “Uomini e donne” del 27 settembre 2010 ritorno come promesso sul tema della parità dei ruoli all’interno delle aziende, anche perché è in fase di approvazione la legge sulle quote rose all’interno dei CdA.
Parto da una semplice riflessione maturata dopo aver letto un recente sondaggio a cura di Ipsos dove emerge un dato che apparentemente sembra sconvolgente ma che in probabilmente è semplicemente frutto di una visione distorna della realtà.
Dal sondaggio emerge che il 43% delle persone intervistate non vede favorevolmente l’applicazione di una legga che impone un numero fisso di donne all’interno dei CdA, quindi pur avendo un consenso positivo emerge che una buona parte non lo è affatto, nascondendosi dietro al concetto che le persone (donne) dovrebbero essere scelte in funzione delle loro capacità e non per appartenenza al genere.
Tale dato viene rafforzato da alcune interviste pubblicate su “Il sole 24 ore” del 10 dicembre 2010 ed in particolare quella di Fulvio Conti CEO di Enel che, pur riconoscendo un ruolo fondamentale alle donne e dichiarandosi favorevole alla legge, cade in una evidente contraddizione ovvero afferma che il principio cardine di scelta deve essere il principio del merito.
Bonus, charity e leadership
Sono tre elementi non sempre vanno d’accordo. Abbiamo un bell’esempio da raccontare, riguarda Sergio Balbinot, uno dei due (insieme a Giovanni Perissinotto) amministratori delegati di Generali, il quale ha deciso di rinunciare al suo bonus pari a €.949.536, devolvendo l’importo in attività di beneficienza.
Si tratta di un gesto sicuramente non scontato e assolutamente di valore, tuttavia questa scelta forse sarebbe stato più forte se fosse stata fatta da Balbinot Amministratore Delegato piuttosto che da Balbinot uomo.
Mi spiego. Chi decide di investire in benessere sociale una cifra così considerevole, è probabilmente una persona che quotidianamente si confronta con le problematiche che interessano centinaia di migliaia di persone, una persona che si è reso conto della continua e costante necessità di alimentare un settore , quello del non profit, senza il quale molte persone non riuscirebbero a sopravvivere, di una persona di valore e non sicuramente superficiale. Tuttavia lo stesso Balbinot governa una delle più importanti imprese di assicurazioni al mondo, azienda che pur distinguendosi da altre vive la CSR come un qualcosa di non integrato o integrabile al business.
Non fraintendetemi, non voglio giudicare un’importante azione come quella compiuto dal top manager, voglio semplicemente affermare il fatto che probabilmente lo stesso manager ha perso un’occasione quella di incidere maggiormente su azioni di responsabilità sociale, avviando un’integrazione tra la CSR e il business. Tale azione infatti pur avendo un’enfasi minore, avrebbe avuto sicuramente un’efficacia maggiore nel lungo periodo, consolidando una leadership interna ancora diversa dall’attuale.
Le azioni private (di questo tipo) di un top manager hanno ovviamente implicazioni dirette o indirette, sull’intera organizzazione, era forse questa l’occasione per sfruttare le implicazioni e dar vita ad un nuovo modo di interpretare la CSR al’interno di Generali.
Controtendenza: aziende famigliari aziende del futuro?
Se fino a qualche anno fa era opinione diffusa che il modello di gestione famigliare delle aziende fosse indicatore di poca lungimiranza manageriale segnato da un marcata impronta gerarchica, sono sempre più i segnali che segnalano una reale e forse inaspettata controtendenza.
La gestione famigliare porta con se dei limiti dati spesso dalla sovrapposizione o dall’interferenza tra la proprietà e il management dell’azienda, contraddistinto da una visione famiglia-centrica, molto centrata sul un grande allineamento ma una scarsa autonomia operativa.
Negli ultimi mesi ho avuto tuttavia segnali diversi, anche forti rispetto alla gestione famigliare d’azienda, ci sono in realtà tre casi tra loro singolari con le pur dovute differenze. Partiamo dall’azienda più grande che prenderò in considerazione, si tratta di Ferrero, mi rendo conto che definire famigliare la gestione di Ferrero sia per lo meno limitativa vista la leadership indiscussa che esercita nel mercato mondiale del cioccolato, tuttavia leggendo e approfondendo la vicenda della possibile acquisizione di Cadbury emerge chiaramente dalla voce dei dipendenti (e non parlo ovviamente solo di manager) o più in generali degli cittadini di Alba (sede di Ferrero) una indiscutibile impronta della famiglia Ferrero nel vivere ed interpretare il lavoro all’interno dell’azienda. Molti degli dipendenti intervistati per ottenere opinioni circa la decisione di acquisire Cadbury hanno risposto in maniera univoca, qualunque sia la decisione presa dalla famiglia sarà la giusta decisione, che letto in un altro modo può stare a significare due cose: a) meglio non esporsi e non dare opinioni, oppure b) siano sicuri che la famiglia Ferrero come ha sempre fatto, prendererà la migliore decisione per riuscire a far il meglio per se e per i dipendenti, saprà quindi agire, usando altri termini, con la logica del buon padre di famiglia. Questa seconda interpretazione è forse la migliore risposta che un manager vorrebbe ricevere di fronte a scelte talvolta difficili e imprevedibili, frutto di un lavoro di confronto, di ascolto ma anche fatto di esempi e stimoli che ha permesso di costruire un modello di management si famigliare ma anche forse quanto più sostenibile di ciò che si possa pensare.
Altro esempio è dato da un’azienda più piccola di Ferrero, la Mantero di Como, che produce cravatte in seta. Ha fatto notizia nelle scorse settimana la notizia che Moritz Mantero proprietario al 90% dell’azienda di famiglia ha messo mano al portafoglio impegnando 5 milioni di euro del suo patrimonio personale al fine di rilanciare l’attività alla quale ha dedicato una vita. Iniziativa assolutamente lodevole che denota valori che in molti settori o ambiti sono del tutto scomparsi (forse non son mai esistiti….), tuttavia l’elemento che maggiormente mi ha colpito è un altro; è stato il modo in cui Mantero descrive il modo di lavorare all’interno della sua azienda: “questa è un’azienda vecchia maniera, qua si fanno ancora le feste quando un dipendente compie quindici anni di anzianità. Mi creda: un imprenditore non pensa che il profitto sia tutto” (intervista apparsa sul La Stampa mercoledì 13 gennaio 2010). In queste poche righe traspare il senso forse anche gerarchico e autoritario ma del tutto coerente con la passione e con l’impegno che il manager e proprietario Mantero ha messo all’interno della organizzazione, impegnandosi anche a trasferire ai propri dipendenti un senso di appartenenza e di “benessere” manageriale, che non è cosa comune trovare in altre realtà.
Ultimo esempio è dato da Franco Oberti, anni 77, manager e proprietario di Astra refrigeranti, azienda specializzata in sistemi di raffreddamento all’avanguardia. Astra è una realtà che fattura circa 21 milioni di euro, certo briciole rispetto a Ferrero, tuttavia lo spirito che contraddistingue Oberti rientra nella sfera della managerialità sostenibile. Di fronte a momenti di crisi come quelli del 2009, Oberti a 76 ha deciso di investire ancora della propria attività costruendo ed aprendo un nuovo stabilimento fornendo nuovi posti di lavoro e puntando sull’attenzione alla ricerca e allo sviluppo. Anche in questo caso quali messaggi potranno arrivare ai dipendenti di questa azienda di fronte ad una decisione certo non semplice di raddoppiare la propria attività in assoluta controtendenza rispetto a oltre altre realtà economiche.
Se non si tratta di un azzardo, cosa che escludo vista la storia di Astra refrigeranti, azienda presente sul mercato dal 1959, i messaggi che potranno arrivare ai dipendenti di Oberti, saranno molteplici primo tra tutto la passione combinata con la competenza e la visione strategica di un disegno di sviluppo. Per crescere un’azienda simile ha la necessità, più di altre, di poter disporre di persone che condividono e sappiano interpretare le decisioni del management nell’ottica di sviluppo. Anche in questo caso siamo della condizione in cui una giusta decisione del management può portare ad una benessere maggiore dell’azionista ma anche di chi lavora all’interno dell’organizzazione. Oberti ha dalla sua un’altra esperienza significativa che pesa sulle spalle di Astra, nel 1994 durante l’alluvione che colpì tutto il Piemonte, subì notevoli danni, tanto che la decisione di chiudere e non riaprire più poteva realmente essere presa in considerazione, tuttavia grazie alla partecipazione di tutti i collaboratori di Astra, nel giro di tre mesi furono in grado di ripartire ancora più determinati di prima. La condivisione di un successo o di una crisi non può che essere sempre vissuta coinvolgendo chi ha i meriti o le responsabilità del successo o della crisi stessa.
La vera rivoluzione o meglio evoluzione dei modelli manageriali evoluti vede una convergenza tra la visione famigliare dell’organizzazione (intesa come negli esempi raccontati), tra la responsabilità sociale e il la redditività.
Non so se sia un ritorno alle origini, sono tuttavia convinto che in moltissimi imprenditori italiani sia latente un approccio manageriale sostenibile più di quando non lo sia in grandi realtà, la vera sfida sarà quella di riuscire a tradurre in un metodo strutturato i principi necessari per governare i prossimi certi cambiamenti a cui saranno sottoposte le nostre aziende.