La riforma del management del terzo settore

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rivoluzi terzo

L’attuale riforma del terzo settore pone in luce uno dei problemi più evidenti degli ultimi 15 anni, e non mi riferisco all’integrazione tra l’attività de terzo settore e il welfare nel senso più ampio del suo significato, ma alla necessità di creare una classe dirigente in grado di cogliere questa sfida.

Nel mondo aziendale non avremmo alcun problema a parlare di change management, di rivoluzione culturale o manageriale, mentre nel terzo settore, affrontare un cambiamento legato all’approccio manageriale sembra spesso essere un ostacolo insormontabile.

Ho parlato più volte negli anni scorsi della necessità, da parte del terzo settore di acquisire competenze specifiche nell’abito manageriale, in grado di focalizzare gli sforzi dell’organizzazione verso un reale sviluppo sostenibile, differenziando quanto possibile le attività core, le fondi di reddito / donazione, ma anche ponendo grande attenzione alla gestione di tutte le risorse dipendenti e volontari che operano presso le organizzazioni del terzo settore.

La riforma pone una questione fondamentale, ovvero essere proattivi nella generazione di valore, consentendo al terzo settore di essere, questa volta davvero, un partner con cui dialogare, fare scelte e costruire strategie di sviluppo.

Ecco quindi che un management proiettato solamente sulla gestione dell’ordinario, che si pone come confine il proprio piccolo perimetro di competenze non risulta adeguato a raccogliere questa opportunità.

La riforma consente anche al profit di cogliere un’opportunità per integrare le propri strategie di CSR ad esempio offrendosi come sparring partner dei manager del non profit per definire dei percorsi concrete pratici di crescita e di sviluppo di competenze che possono essere acquisite sul campo e non solo in aula.

Lo studio, la formazione, l’investimento in sviluppo manageriale diventeranno nei prossimi anni elementi attrattivi per  i nuovi manager del non profit che non saranno solamente attratti dalla “causa”, ma anche dalle opportunità professionali che questo pilastro della nostra società può e deve essere in grado di garantire.

 

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