responsabilità

One4C di Unicredit e l’irresponsabilità del sindacato

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Circa un anno fa il Consiglio di Amministrazione di Unicredit presentava il progetto “One4c” ovvero un progetto di cambiamento culturale finalizzato ad incrementare la soddisfazione dei clienti e la vicinanza con il territorio. Il progetto si basa anche su una riorganizzazione finalizzata a creare una maggiore risposta alle mutevoli esigenze della clientela.

Leggendo la presentazione effettuata il 15 dicembre 2009 all’interno del CdA emerge un buon progetto utile ad innescare un necessario cambio di marcia della più importante organizzazione bancaria italiana.

Ad un anno di distanza possiamo iniziare ad analizzare gli effetti del progetto, in particolare occorre soffermarsi sul  ruolo assunto dai sindacati in questa operazione. Leggi il seguito di questo post »

Pubblicità

La tua Toyota è la mia Toyota

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Dopo ERG e Fastweb, anche Toyota utilizza una forma di pubblicità che pone al centro la responsabilità individuale (e collettiva) delle persone che lavorano all’interno dell’organizzazione. Questo tipo di pubblicità, può essere considerato una forma di CSR, che pone al centro da un lato l’importanza affidata alle singole persone che realizzano la vettura, dall’altro la centralità del cliente. Sempre più spesso in momenti di difficoltà o cambiamento, torna il motto “noi ci mettiamo la faccia”, lo aveva già fatto ERG con la campagna territoriale direttamente presso i distributori esponendo in primis il gestore, lo ha fatto Fastweb immediatamente dopo il caso Scaglia, proponendo una decina uscite consecutive su tutti i quotidiani nazionali, ed ora lo sta facendo Toyota.

La domanda vera è: quanto è efficace una campagna di questo tipo?  Lascio la risposta sull’efficacia della campagna pubblicitario lato cliente esterno agli esperti di marketing e comunicazioni, prendo in considerazione l’efficacia all’interno dell’organizzazione. Può essere molto efficacia solo se all’interno dell’organizzazione esiste una coerenza manageriale, ovvero se anche prima della campagna la percezione delle persone era effettivamente quella di essere al centro dell’organizzazione stessa.

Se l’organizzazione ha sviluppato un ambiente e una cultura aziendale  all’interno del quale per persone sono dotate della giusta autonomia e del giusto allineamento verso una visione condivisa, allora questa è sicuramente la strada corretta; al contrario se si stratta solamente di un meccanismo di comunicazione e di promozione, può generare effetti controproducenti già nel breve periodo.

Abusare dell’immagine delle persone all’interno di un’azienda può essere pericoloso solamente se le persone non si sentono coinvolte ed hanno un senso di appartenenza molto basso, negli altri casi può risultare efficace. Ancora una volta la parola d’ordine è coerenza.

Un buon motivo per tornare al lavoro

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motivazione

Non lo nascondo i primi giorni di lavoro dopo una vacanza lunga o corta che sia appaiono sempre difficili, tanto che pare impossibile aver retto per così tanti mesi di fila senza una piccola sosta. La prima riflessione che voglio sottoporre alla vostra attenzione riguarda quindi la motivazione del ritorno al lavoro.

 Nei giorni precedente il mio rientro effettivo (25 agosto u.s.) la cosa che mi creava più fastidio era l’impossibilità di continuare a pensare a tempo pieno alle mie passioni, (extrafamigliari, i figli prima di tutto….) di dedicare o avere lo stesso tempo libero anche durante l’anno…. riflessioni immagino comuni un po’ a tutti, da questo mio mugugno nasce però un’altra riflessione.

Parlando con amici e conoscenti che lavorano soprattutto all’interno di grandi organizzazioni aziendali, avrete immagino anche voi avuto modo di riscontrare un fenomeno chiaro, soprattutto per chi ha poca seniority da spendere: rimanere in ufficio per molto tempo, anche più del necessario è una condizione indispensabile per riuscire a dimostrare di far bene il proprio lavoro.

Ecco quindi che il tempo libero a disposizione diminuisce, che la possibilità di crearsi passioni o sperimentare competenze al dì fuori dell’ambito lavorativo diminuiscono e che quindi in generale, la possibilità di riuscire a creare ad un’organizzazione orientata alle persone e alla creazione di valore non solo economico ma anche sociale rapidamente si allontana.

Questa condizione viene vissuta e tollerata dalle persone junior nella speranza che tale condizione possa terminare con il crescere della seniority, in realtà si tratta spesso di un’utopia che diventa un’abitudine, che con il passare del tempo si stratifica e rende sempre più ingessate le organizzazioni. Si va in altri termini a creare una cultura aziendale orientata ai risultati e ai compiti e non alle persone.

Per riprendere in modo meno traumatico il lavoro sfruttando il relax che generato da momenti di vacanze, possiamo pensare ad un nuovo modo di intendere i rapporti gerarchici, spesso causa di malcontento e criticità organizzative e motivazionali. Essere capo oggi significa fare in modo di aver un team di lavoro in grado di portare all’interno dell’organizzazione competenze, professionalità, ma anche passioni e creatività. L’innovazione passa anche attraverso queste condizioni, quindi per una volta se una vostra risorsa esce dall’ufficio prima delle 20.00 non guardatelo in malo modo, al contrario chiedete come impegna il suo tempo libero, date dei suggerimenti per arricchire il contributo che può portare all’interno dell’organizzazione.

Immaginate il vantaggio di avere persone che quando escono dal proprio posto di lavoro continuano per ore a pensare a soluzioni o proposte per migliorare il business della loro azienda solamente perché sono dotate di passione,  hanno avuto la fortuna di avere dei capi che stimolano e incoraggiano la loro autonomia decisionale e agevolano l’esplorazione di nuove esperienze… non sarebbe male vero? ed inoltre  sarebbe completamente gratuito.

I tempi sono cambiate, vi ricordate i tempi in cui si leggeva della presenza di calciobalilla o video giochi nelle aziende più creative, piuttosto che di stanze per fare il riposino… ??? oggi la vera sfida consiste nell’agevolare le persone a coltivare il maggior numero interessi creando le condizioni affinché siano in grado di portare la passione e l’energia che solitamente utilizzano per attività esterne anche all’interno dell’organizzazione.

Come? Per iniziare interessandosi alla vita extraprofessionale dei propri collegi ed utilizzando realmente e concretamente lo strumento della delega.

Non è compito mio!!!

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gramellini foto

Il post di oggi mi viene suggerito dal fondo di  Massimo Gramellini apparso su La Stampa. Nelle poche ma sempre pungenti e attente frasi di Gramellini, emergono tutti gli elementi per affermare ancora una volta la necessità di sviluppare un management sostenibile guidato da coraggio ma soprattutto da responsabilità, o meglio voglia di assumersi responsabilità. Non mi riferisco ovviamente al sistema bancario (caso citato nell’artciolo) in particolare, ma più in generale occorre ripensare e reinterpretare il ruolo che ognuno di noi assume all’interno delle organizzazioni, soprattutto aziendali.

Ecco qui l’articolo di Massimo Gramellini:

“L’altro ieri, a Settimo Torinese, il signor Giovanni ha gambizzato la signora Silvana, che gli aveva negato un prestito. Ieri diversi lettori hanno telefonato a La Stampa per dire: ha fatto bene. E a me è venuto un brivido. Ho scritto Giovanni e Silvana, invece che un «panettiere indebitato» e «una direttrice di filiale» perché ho l’impressione che si uscirà da questa crisi solo se smetteremo di trattare gli altri come dei simboli e ricominceremo a considerarli delle persone. Il piccolo imprenditore strozzato dalla mancanza di ordini non vede nel bancario la rotellina impotente di un meccanismo anonimo, ma il capro espiatorio perfetto. E il bancario, stritolato dalla gabbia dei regolamenti interni, non dialoga più con Francesco o Maria, con le loro storie e le loro capacità,ma con i clienti X e Y a rischio d’insolvenza. Ho saputo di un artigiano che si è visto rifiutare il pagamento di una bolletta di 8 euro perché il computer negava alla banca il permesso di pagare. È questa rigidità arida che ci sta finendo. La solidarietà è diventata un dentifricio per sbiancarsi la coscienza, invece significa mettersi nei panni degli altri e smetterla di considerarli pedine intercambiabili, singole voci di una lista memorizzata in qualche archivio. Non siamo tutti uguali, al di qua dello sportello come al di là. Ci sono lo scansafatiche e il manigoldo: non meritano aiuto. E ci sono l’artigiano volenteroso e l’imprenditore che si indebita per non licenziare: questi vanno foraggiati strizzando anche un occhio, alla faccia dei regolamenti e delle griglie dei computer. Perché alla fine, porca miseria, siamo ancora esseri umani.” (fonte La Stampa 16 luglio 2009)

Ferrari, Apple, Armani… una doppia responsabilità.

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ferrari

Ferrari, Apple, Giorgio Armani, Intesa San Paolo, Google, sono queste le prime 5 aziende che i giovani hanno indicato come aziende ideali per cui lavorare (fonte Universum). Questo dato conferma che il brand assume quindi una connotazione strategica non solo nei confronti dei potenziali clienti ma anche per i potenziali collaboratori. Tale tendenza fa emergere tuttavia alcune fondamentali riflessioni nell’ottica del management sostenibile.

Se dal punto di vista della reputazione del brand quasi tutte le aziende medio e grandi si sono mosse negli ultimi anni in una precisa direzione, ponendo attenzione ad alcuni parametri di qualità e affidabilità, orientandosi sempre di più verso le aspettative e le esigenze del cliente, forse lo stesso non si può sul fronte interno, rispetto alle esigenze dei propri collaboratori ed in generali di tutti gli altri stakeholders (clienti esclusi).

Il fatto di avere una forte capacità attrattiva nei confronti di potenziali candidati, deve necessariamente tradursi in una particolare attenzione verso la soddisfazione (per quanto sia possibile) delle aspettative dei giovani che entreranno all’interno di queste aziende.

Il rischio concreto è che a fronte di una grande aspettativa, il più delle volte ci si ritrovi a confrontarci con una realtà interna che è completamente distante rispetto a quanto appare all’esterno.

La responsabilità individuale di ogni manager e più in generale dell’intera organizzazione sarà quindi quella di non abusare della propria attrattività, ma al contrario di aumentare ancora di più l’attenzione verso i nuovi entranti. 

Spesso il fatto di essere entrati in una realtà ambiziosa quanto esclusiva, può far scattare la “sindrome da caserma”, ovvero: “adesso che sei entrato prima di godere dei privilegi devi subire….”

Ovviamente non è sempre così, il mio vuole solo un monito nei confronti di chi ha la possibilità di abusare dei propri ruoli di responsabilità e alle spalle sa di avere un numero infinito di candidati.

Più si agisce in maniera responsabile nei confronti di queste nuove risorse, più avremo la possibilità di agevolare un processo di cambiamento culturale spesso necessario in molte realtà aziendali.

Il giovane che è attratto e porta passione ed entusiasmo deve essere in grado di tradurre tale passione in un contributo all’interno dell’azienda, ovviamente guidato e agevolato dal management aziendale; se di fronte a tale possibilità, il management non cogli l’opportunità, si rischia di coltivare un’altra volta una classe manageriale non sempre all’altezza della complessità degli scenari che ci attenderanno.

Produttività nell’era di Facebook

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La Faceboock mania dilaga, e non solo nel tempo libero, pare che sempre più spesso all’interno delle aziende si faccia un uso spropositato dei social network. Di fronte a questa condizione ho assistito negli ultimi periodi a comportamenti sconvolgenti, sentendo addirittura imprenditori e manager minacciare di inibire l’accesso ad internet all’interno delle loro organizzazioni.

Sono convinto che questo pensiero sia circolato nella testa di molti imprenditori e manager, forse non così estremo, ma sicuramente focalizzato sulla limitazione dell’accesso almeno ai social network.

Ricordo con lucidità, quando nel 2003 (non un secolo fa) presso un’azienda multinazionale realmente leader nel suo settore, chiesi di poter utilizzare una loro postazione per poter verificare con Google l’esattezza di un’informazione, la risposta fu negativa semplicemente per il fatto che la navigazione in internet era riservata solamente ai Dirigenti!!!!! Oggi anche quella realtà ha dovuto adeguarsi alle nuove esigenze, liberando l’accesso alla rete a tutti i dipendenti senza discriminazione….

La stessa situazione la potremmo oggi vivere con Facebook, pensando che per arginare il fenomeno sia sufficiente inibirne l’accesso, in realtà il problema della “distrazione” da Facebook, pone una questione ben più seria relativa al livello di responsabilizzazione delle persone all’interno delle organizzazioni. Inibire o sottrarre l’utilizzo rappresenta una sconfitta manageriale, significa ammettere l’incapacità di saper gestire un cambiamento, innescando un meccanismo di minaccia della fiducia stessa, in altre parole significa non essere in grado di governare un’organizzazione.

Come spesso accade occorre sempre più spesso investire nella creazione della cultura manageriale diffusa, piuttosto che correre al riparo rispetto a situazioni occasionali apparentemente difficili da gestire o da arginare. Oggi è Facebook, domani …..non si sa… l’unica certezza e che qualcuno prima o poi (molto prima che poi) troverà qualche altro evento a cui dare la COLPA!!!

Riflessioni sul terremoto

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Non è semplice trovare le parole per descrivere un evento drammatico come quello che ha colpito nelle scorse ore la città de L’Aquila e in generale tutto l’Abruzzo. Cosa c’entra però il terremoto con questo blog? Molto, non solo perché la mia esperienza nel mondo non profit (che segna l’inizio della contaminazione) inizia con la Croce Rossa Italiana proprio in seguito ad una maxiemergenza, ma anche perché questo dramma può diventare una vera occasione per dimostrare che le imprese possono avere un ruolo diverso all’interno del contesto sociale rispetto a quello descritto negli ultimi mesi.

Oggi mentre ero in macchina, mi è capitato più volte di sentire professionisti (l’ultimo che ho sentito era un esperto di perforazioni terrestri per la ricerca di acqua non contaminata) che spontaneamente offrivano la loro competenza per superare l’emergenza; immagino che molte persone all’interno delle aziende avessero la stessa voglia e intenzione dei professionisti che hanno telefonato alla radio… perché quindi non agevolare questa condizione?

Molte aziende sicuramente si attiveranno per raccogliere contributi ed inviare prodotti per agevolare il superamento dell’emergenza, tutto questo è fondamentale anzi indispensabili, tuttavia agire solo in questa direzione rappresenta una limitazione rispetto alla possibilità di innescare un vero cambiamento culturale verso la  CSR.

Prendendo esempio dall’esperienza di Katrina, facciamo in modo che le competenze che sono presenti al’interno delle aziende siano finalizzate alla risoluzione di questo drammatico evento. All’interno delle nostre aziende sono presenti competenze, conoscenze, strutture e passioni, tutte utilizzabili per riuscire a velocizzare il ripristino della normalità. Non mi sto riferendo solo a personale tecnico ma anche ad esempio a personale commerciale. Fare CSR significa anche contestualizzare le proprie capacità in funzione di un bisogno emergente coerente con la propria mission.

Perché non creare proprio in questo momento delle vere task forze di esperiti volontari, sostenuti dall’azienda per la quale lavorano da mettere a disposizione del Dipartimento Nazionale di Protezione Civile? E’ solo uno dei 1000 esempi che si potrebbero fare, la vera innovazione è quella di portare la responsabilità sociale all’esterno, ma anche di agevolare la sensibilità all’interno delle realtà aziendali.

Non perdiamo quest’occasione dimostriamo che si può contribuire non solo con il denaro ma anche con le caratteristiche che ognuno di noi può esprimere all’interno delle organizzazioni per le quali lavora.

Concludo indicando un conto corrente per effettuare donazioni per le persone che oggi si trovano senza più nulla:

Conto corrente bancario C/C BANCARIO n° 218020 presso: Banca Nazionale del Lavoro-Filiale di Roma Bissolati -Tesoreria – Via San Nicola da Tolentino 67 – Roma. Intestato a: Croce Rossa Italiana Via Toscana, 12 – 00187 Roma.  Coordinate bancarie (codice IBAN) relative sono: IT66 – C010 0503 3820 0000 0218020 CASUALE 24 ORE PER L’ABRUZZO

Conto corrente postale n. 300004 – Intestato a: ” Croce Rossa Italiana, via Toscana 12 – 00187 Roma” CASUALE 24 ORE PER L’ABRUZZO

Contraddizioni papali

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Il management sostenibile entra anche in vaticano, o meglio dovrebbe entrare anche in Vaticano. Domenica 28 dicembre Benedetto XVI si dice preoccupato del “lavoro precario” facendo appello per garantire condizioni di lavoro dignitose per tutti. Una posizione quella assunta dal Papa certamente condivisibile e necessaria visto lo scenario del mondo del lavoro sempre più frammentato e governato da incertezza. Accanto a questo appello, è emersa tuttavia la denuncia di Valeria Pireddu, hostess dell’Opera Romana Pellegrinaggi che afferma che per anni ha lavorato “in nero” e ancora oggi senza un contratto di lavoro. Non è mia intenzione dare in questa sede giudizi sulla situazione che andrebbe per lo meno verificata e approfondita, ciò su cui vale la pena soffermarsi sono gli atteggiamenti incoerenti che ancora una volta coinvolgono le organizzazioni in questo caso il Vaticano nella sua globalità. L’atteggiamento secondo quanto raccontato dalla Pireddu è quello di giocare sulla grande contraddizione che associa il non profit con il lavoro volontario, il che può essere giustificato solo se realmente si tratta di volontariato organizzato e prestato nelle forme previste. Poiché dietro ai pellegrinaggi di sviluppa un business di notevoli proporzioni, il fatto voler volutamente far passare il lavoro delle hostess, come lavoro volontario appare alquanto incoerente e contraddittorio non solo con il proclama del Papa ma con i principi cardine della Chiesa Romana. Se certe leggerezze possono essere commesse, e comunque non giustificabili, da alcuni enti non profit,  non le possiamo accettare dal Vaticano. Tali azioni rischiano tra l’altro di compromettere la reputazione del volontariato agendo proprio sull’ambiguità tra il prestare gratuitamente o meno il proprio tempo generando confusioni tra i potenziali volontari o finanziatori del terzo settore.